Come difendersi dalla burocrazia*

* articolo pubblicato su aetnanet.org il 3 gennaio 2015

Stiamo vivendo un’epoca schizofrenica, su questo non c’è dubbio!

Da una parte un’apparente guerra a tutto campo contro la burocrazia, fatta di roboanti affermazioni di principio circa l’importanza di una burocrazia sempre più snella, efficiente ed informatizzata e di pubblici proclami, che prefigurano la fine delle burocrazia intesa come esercizio di un potere arcaico e totalizzante, grazie a leggi moderne e ad interventi decisi sulla pubblica amministrazione ed i suoi “burocrati”. Dall’altra, come spesso accade nella politica, sembra di vivere in una commedia dell’assurdo, per cui quanto più se ne parla in termini enfatici e taumaturgici, tanto più si va in direzione opposta ed antitetica rispetto alle affermazioni ed ai proclami tanto ostentati.

Emblematica è, a tal proposito, l’abitudine degli ultimi anni di dare nomi esplicativi ad interventi normativi – tutti indispensabili per la difesa democratica dell’economia del paese e, quindi, tutti rigorosamente approvati con decreto legge sulla cui conversione è stata posta la fiducia – il cui contenuto, spesso, va in direzione totalmente opposta al nome attribuito. Chi non ricorda il decreto “salva Italia” del Governo Monti, la cui presentazione è stata accompagnata – oltre che dalle lacrime del Ministro Fornero – dall’utilizzo martellante e strategico, dal punto di vista comunicativo, dei termini “equo” ed “equità”. Il decreto in realtà ha dato il via alla riforma del sistema pensionistico ed ha anticipato il pagamento dell’Imu, aumentandone la base imponibile al fine di raggiungere il pareggio di bilancio imposto dall’Europa; tutte le scelte di politica economica e tributaria si sono rivelate all’evidenza fortemente inique e spesso a vantaggio dei “poteri forti” (a buona pace dell’equità).

Lo stesso può dirsi per il decreto “cresci-Italia” seguito, un anno dopo, dal decreto “del fare” del Governo Letta i cui “effetti di crescita economica” gli italiani stanno costatando sulla propria pelle ogni giorno.

La legge di delega “sulla semplificazione degli adempimenti per i cittadini e le imprese”, del Governo Letta avrebbe dovuto rappresentare il colpo di grazia alla burocrazia ed alla complessità dell’apparato burocratico. Essa prevede, infatti, una serie di deleghe miranti ad un riassetto normativo, alla semplificazioni per i cittadini, le imprese ed in materia fiscale, ed infine l’ennesima delega per la razionalizzazione e semplificazione della pubblica amministrazione. Sarebbe interessante verificare quante di queste sono state portate a compimento con l’emanazione del relativo decreto delegato, e quante tra questi ultimi siano realmente riusciti a semplificare la burocrazia.

Il reale contenuto delle “riforme” è però tenuto abilmente celato da una tecnica di redazione delle disposizioni normative che ha dell’incredibile. Le leggi, infatti, contengono deleghe, rinvii a catena, aggiunte o tagli decontestualizzati e sono spesso ambigue, irrazionali ed incoerenti; solo un’opera di certosina esegesi può farne comprendere il reale contenuto (basta leggere le note in Gazzetta Ufficiale che accompagnano la pubblicazione delle leggi per comprendere la reale portata e la gravità della situazione) e spesso la tecnica di redazione degli atti normativi ha proprio lo scopo di rendere incerto ed incoerente un sistema politico che agisce in aperta contraddizione con quanto promette.

Leggi settoriali, intersettoriali, di manutenzione normativa, leggi “provvedimento”, decreti legge, deleghe al Governo (ancora peggiore è la consuetudine della “delega correttiva aperta” che ammette un intervento del Governo che può arrivare a contraddire la stesa legge di delega), appare del tutto chiaro il tasso di “precarietà normativa” che rinvia sempre più frequentemente all’intervento del Governo ed alla completa esautorazione del Parlamento.

L’ipertrofia normativa, la sua frammentarietà e la totale asistematicità sono anche il sintomo dell’obiettiva difficoltà di agire a livello nazionale in un contesto economico globale che ci vede svantaggiati rispetto alle economie mondiali più forti e ad un sistema economico globale, talmente potente, da influenzare l’economia degli stati-nazione. Inoltre mostrano l’incapacità o la malafede della classe politica che “scarica” sulle fasce socialmente ed economicamente più deboli il peso della crisi.

Alla luce di tali considerazioni appare del tutto paradossale l’attacco diretto alla burocrazia delle forze politiche: la burocrazia è la causa della crisi economica, la burocrazia è incapace di gestire il rinnovamento, la burocrazia è vecchia e scollegata dalla realtà, la burocrazia non sa e non vuole utilizzare le innovazioni tecnologiche, la burocrazia utilizza le norme per rafforzare il suo potere. Nessuno però analizza la crisi della burocrazia in un contesto più generale che la vede costretta ad applicare norme (create dalla politica) schizofreniche, spesso in contraddizione e quasi sempre incomprensibili. Ogni disposizione di legge di carattere generale ed astratta ha una tale miriade di discipline particolari, eccezioni, altre norme in contraddizione, da renderne pressoché impossibile un’applicazione equa e corretta. E’ molto facile per la politica creare un sistema normativo “perverso” e poi lamentarne la cattiva applicazione!

Il DPR 37/2009 ha emanato il regolamento per l’attribuzione dell’indennizzo ai militari e civili per le infermità o patologie tumorali, causati dall’esposizione o dall’utilizzo dell’uranio impoverito. In breve il regolamento ha fissato i termini per gli eventi successivi alla data di entrata in vigore del regolamento entro i 6 mesi successivi dal verificarsi dell’evento e comunque non oltre il 31/12/2010 (incredibile ma vero: il termine è tassativo). Un militare, che teoricamente vi rientrerebbe, ha la sfortuna di morire il 3 gennaio del 2011, di conseguenza la vedova riceve una fredda lettera di diniego, che ha chiaramente sollevato un vespaio di critiche ed è stata portata come esempio di mala burocrazia. Ma si tratta davvero di malaburocrazia? Il funzionario responsabile, interpellato a proposito di questo caso, ha spiegato con molta disponibilità e rassegnazione che l’amministrazione è consapevole dell’iniquità venutasi a creare e che ciò è stato fatto presente agli organi politici – più volte e con varie motivazioni – ma, a quanto pare, i vincoli di bilancio superano la logica e la pietà umana! E’ chiaro come in questo caso i politici, che hanno votato il provvedimento legislativo, hanno volentieri tuonato contro la fredda burocrazia, cosa molto più facile che non ammettere di aver varato una norma improponibile e cercare di capire perché la politica sta distruggendo quel che resta dello stato sociale a vantaggio di un’utopistica Europa unita.

Ciò non deve però far credere che la nostra burocrazia non abbia enormi problemi e che le critiche che le vengono rivolte non siano spesso assolutamente meritate. Quel che mi è sembrato giusto fare è stato il riportare alle giuste dimensioni il problema, per evitarne strumentalizzazioni e falsi alibi da parte del sistema politico.

Si comprende, quindi, che per difendersi dalla burocrazia c’è ben poco da fare, in particolare quando la vittima è un cittadino stressato dalle continue angherie, che partono dalle disposizioni di legge e, passando da regolamenti astrusi e da una burocrazia impreparata a gestire situazioni ormai sempre più ai confini della realtà/legalità (perché è quasi impossibile comprendere i limiti), investono un corpo sociale che di conseguenza spesso sceglie di non rispettare la legge perché è molto più semplice e meno dannoso.

Contro le pessime leggi, purtroppo, non possiamo nulla, neanche rimproverarci di aver scelto male i nostri rappresentanti al Parlamento, posto che non lo facciamo più noi. Ma contro la burocrazia, in particolare la malaburocrazia, qualche rimedio c’è anche se a volte macchinoso e pieno di incognite.

In questa “guerra” privata il cittadino deve tener conto di quella imprescindibile realtà che si è delineata in precedenza. L’applicazione della norma, infatti, avviene in un contesto che non è univocamente definito e non è controllabile o prevedibile, con la conseguenza che gli effetti delle azioni del cittadino possono essere diversi o, addirittura, in contrasto con quelli auspicati. Per contro l’eccessiva specializzazione dei funzionari non favorisce quelle condizioni culturali che gli permettano di applicare la norma con la duttilità richiesta dalla realtà, dove ogni procedimento è un caso a sé. Robert Merton, a tal proposito, ha creato un termine per indicare la condizione del burocrate rigorosamente ancorato alla regola che considera valore imprescindibile, anche se gli effetti non potranno mai essere quelli della tutela degli interessi in gioco, l’autore definisce questo atteggiamento “ritualismo”. In tali casi il rapporto tra dipendente pubblico e cittadino viene compromesso e causa un sentimento di sfiducia nei confronti dell’amministrazione pubblica che va ben oltre il caso specifico. In altri casi, invece, l’applicazione “ritualistica” della norma ha altri scopi, non sempre leciti. Creare ansia nell’utente per poi far capire che grazie all’aiuto del funzionario si possono risolvere problemi altrimenti insormontabili, purtroppo, è la condizione che frequentemente caratterizza il comportamento di quei burocrati, che, proprio per l’eccessiva specializzazione, possono diventare gli unici “depositari” delle “procedure” che padroneggiano a spese (in tutti i sensi) del cittadino.

Nella nostra personale “guerra di difesa” dalla burocrazia dobbiamo sempre aver presenti quelle che Michel Crozier ha dimostrato essere i tratti distintivi del suo funzionamento, e cioè: l’impersonalità delle norme, la centralizzazione delle decisioni al vertice, l’isolamento di ogni categoria gerarchica e lo sviluppo di poteri paralleli nei margini di incertezza lasciati dalla cattiva qualità della tecnica normativa. Secondo l’autore l’unica via d’uscita da questa situazione è quella delle crisi, ossia tramite mutamenti radicali ed improvvisi anche a costo di creare un periodo di stallo e di instabilità, proprio perché è connaturata al concetto stesso di burocrazia la difficoltà di reagire velocemente e di adattarsi alle innovazioni. Ma questa soluzione – pur provenendo da un grande teorico della burocrazia che con le sue teorie ha contribuito a rivoluzionare l’amministrazione pubblica francese – tiene conto di una burocrazia formata da giovani tecnologici sempre pronti ad accettare, almeno a livello personale, ogni novità. Lo stesso non può, a mio avviso, essere valido in un contesto sociale lavorativo come quello italiano, dove la burocrazia è formata da una classe di amministratori sempre più anziani, restii al cambiamento e demotivati. Di conseguenza, quando ci troviamo di fronte ad un impiegato pubblico, dobbiamo sempre tenere a mente che è una persona pagata poco, demotivata, sicuramente frustrata perché persuasa di valere molto di più di quello per cui viene pagato, spesso convinta che chi gli sta davanti sia solo un seccatore che sicuramente pretende qualcosa che non gli spetta per nulla o solo dopo estenuanti trafile burocratiche, propensa a dimostrare che la competenza è sempre di qualcun altro anche se la norma poco chiara e male interpretata può far sembrare l’opposto, che la colpa è sempre dei superiori che “non capiscono niente”, e così via.

Inoltre, l’approccio dell’amministrazione ai problemi reali, posti dalla complessità delle attività inerenti all’offerta di servizi, è di tipo “giuridico-formalistico” con l’esclusione di analisi di tipo sostanziale quali l’esame della funzionalità e dell’efficienza, delle conseguenze pratiche dell’attività, del costo, della desiderabilità di soluzioni alternative e della funzionalità rispetto alla mission. Di ciò deve tenersi conto nel momento in cui il “contatto” con la pubblica amministrazione diventa conflittuale, con la conseguenza che andrebbe bandito ogni tentativo di conciliazione “amichevole” che non tenga conto di quelle categorie giuridiche cui è subordinata l’attività stessa. E’, quindi, necessario essere consapevoli che è pressoché impossibile risolvere “bonariamente” una situazione conflittuale con il burocrate che abbia visto lesa la sua autorità attraverso la contestazione di un suo provvedimento. Per quanto possibile occorrerebbe sempre offrirgli una via d’uscita onorevole ma conveniente se non si è nelle condizioni o non si abbia la voglia di aprire un contenzioso contro l’amministrazione che, dati i tempi del procedimento giurisdizionale ed i suoi costi, vedrebbe il cittadino comunque soccombente.

Il paradosso delle riforme è quello per cui le “tutele” del cittadino hanno di fatto rafforzato il potere burocratico che, tra diritto di accesso, sospensione dei tempi del procedimento, richiesta di pareri, partecipazione attiva all’attività procedimentale, rispetto della forma e potere di ritiro in autotutela – spesso fasullo perché si limita alla reiterazione dell’atto privandolo dei difetti di forma – può allungare a dismisura i tempi procedimentali svuotando, di fatto, di ogni utilità l’eventuale provvedimento finale. Non è un caso che le principali ragioni che stanno alla base dei fenomeni corruttivi siano l’accelerazione delle procedure e l’evitare “intoppi burocratici”, più che il cercare di ottenere provvedimenti illegittimi. In questi casi ricorrere al superiore gerarchico potrebbe essere una soluzione efficace. Frequentemente, infatti, si rileva che tanto minore è il potere effettivo dell’addetto al disbrigo di una pratica amministrativa, tanto maggiori saranno i problemi che questi porrà al cittadino; rivolgersi a chi ha più potere serve a rompere il circolo vizioso del “ritualismo” e contribuisce a sollecitare un intervento risolutivo.

L’impatto con il pubblico impiegato è quasi sempre importantissimo, è sicuramente errato un approccio tendente a creare un moto di solidarietà o comprensione del problema, perché ci si scontrerà subito con “l’impersonalità” della pubblica amministrazione e cioè con un burocrate che si chiuderà a riccio e tenderà a dimostrarci che il problema non è il suo e che lui si limita ad applicare le regole. Per contro, altrettanto sbagliato è proporsi con sicumera ed arroganza trattandolo come un parassita incapace e fannullone; in questo caso sicuramente ci porrà tali e tante barriere da rendere impossibile la fruizione del diritto; bisogna infatti tener conto che la burocrazia, per definizione, “non impara dai propri errori” quindi anche dimostrando all’impiegato che sta sbagliando si rischia il risultato opposto.

L’approccio più corretto e proficuo è sicuramente quello cortese ed assertivo. Il dipendente pubblico deve capire di avere di fronte una persona educata, rispettosa del suo lavoro ma che conosce i propri diritti e si aspetta che siano rispettati. Occorre dunque comunicare in maniera chiara le proprie esigenze senza aggredire la controparte e senza mostrare una particolare arrendevolezza. Occorre capire le reazioni dell’altro e fare leva su di esse con atteggiamento empatico, tono serio, postura decisa e senza dare alcun giudizio sul comportamento del burocrate e dell’organizzazione cui appartiene.

Quest’atteggiamento è sempre utile anche se ciò non vale sempre. Ci sono dipendenti pubblici preparati, disponibili e aperti alle novità; ma in questi casi l’utente se ne accorge subito!

Giuseppe Motta

1 pensiero su “Come difendersi dalla burocrazia*

  1. Tante parole ! Ma non crede che la burocrazia come la politica NON HANNO + MOTIVO DI ESSERE . Abbiamo automatizzato le navicelle che percorrono KM e arrivano sane e salve su Marte e ancora parliamo di individui dietro ad uno sportello pagati per offrire un “SERVIZIO” che ancora non si è avuto il coraggio di “definire”: In quanto tempo mi dai il certificato ? Perchè i miei dati non l trovi nel tuo computer visto che la PA ha speso fior di milioni per automatizzre… e devo ri-scriverli sempre cento volte ….. cose banali ?! si infatti dopo 50 anni ancora a questo siamo.

    Eliminate la burocrazia. Oggi più di decenni fa è possibile automatizzare i processi. La burocrazia è sinonimo di procedure e come tali sono perfettamente automatizzabili. Ovviamente non darei questo compito nella mani di “esperti” dello stesso livello dei medesimi che ad oggi hanno tentato di farlo con scarsi successi. In altre parole facciamolo fare a quei “pochi” bravi, gli altri mettiamoli a zappare l’orto (circa il95% dei dirigenti attuali). Ecco, fatto cio avremmo risparmiato quei 700Milioni e reso più felice il cliente che alla richiesta di un certificato, finalmente lo otterrà in tempo zero !

    La burocrazia come la politica NON HANNO + MOTIVO DI ESSERE .

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