Graduatorie permanenti: una storia infinita

* pubblicato su www.aetnanet.org il 12/04/2003

Il mondo del precariato nella scuola è, negli ultimi anni, scosso da vere e proprie “guerre tra poveri” nell’ambito cioè di categorie di insegnanti che, sebbene il più delle volte siano regolarmente e ripetutamente abilitati, hanno avuto la sfortuna di cercare di entrare nel mondo della scuola nel modo o nel momento sbagliato.

E’ recente, e non ancora del tutto conclusa, la vicenda, di cui abbiamo dato conto in queste pagine, dello scontro sul punteggio aggiuntivo assegnato a coloro che hanno partecipato ai corsi SSIS, ma è di estrema attualità anche quello che coinvolge gli iscritti alle graduatorie permanenti che, ai fini dell’inclusione nelle fasce, avevano svolto il loro servizio nelle scuole pubbliche e quelli che lo avevano effettuato nelle scuole private.

A tal proposito uno dei primi provvedimenti del Ministro dell’istruzione dell’Università e della Ricerca scientifica del Governo “Berlusconi” è stato il Decreto Legge n. 2552001, convertito con la legge n. 3332001, con il quale venivano “unificate” la terza e la quarta fascia delle “graduatorie permanenti“.

In altri termini con una disposizione “interpretativa” si faceva confluire d’ufficio nella terza fascia tutti i docenti appartenenti alla quarta fascia, che veniva, quindi, eliminata.

L’occasione per tale modifica, che ha costituito un segnale politico molto forte da parte del nuovo Ministro, è venuta da una sentenza del TAR Lazio che aveva accolto una serie di ricorsi con cui si chiedeva, appunto, l’abrogazione dei Decreti Ministeriali n. 123 e n. 146 del 2000 nella parte in cui avevano previsto l’istituzione di quattro fasce per la formazione delle graduatorie permanenti. In seguito a tali sentenze il Ministro Moratti ha emanato il D.L. suddetto che rispondeva pienamente agli scopi politici ampiamente dichiarati dal nuovo Governo (sia chiaro che non si intende entrare nel merito politico dell’opportunità di tale intervento che prescinde dalle ragioni tecniche delle presenti note).

Il chiaro scopo politico, per chi ha ben presente la composizione dell’abrogata quarta fascia, era, infatti, quello di parificare il servizio svolto nella scuola pubblica con quello effettuato nella scuola privata.

Poche settimane fa il TAR Emilia Romagna, adito con dei ricorsi in cui sono parte anche alcuni sindacati, ha rimesso alla Corte Costituzionale gli atti per il sindacato di legittimità costituzionale del citato Decreto Legge nella parte in cui ha previsto l’accorpamento tra terza e quarta fascia.

Il TAR rimettente afferma che la questione di costituzionalità appare non manifestamente infondata in quanto l’intervento interpretativo del decreto Moratti: “non presenta le caratteristiche di un’interpretazione autentica e conforme ai principi costituzionali, in quanto, in effetti quest’ipotesi si configura quando la norma si limiti a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente, non integri il predetto di quest’ultimo e non adotti un’opzione ermeneutica non desumibile dall’ordinaria attività di esegesi dello stesso“.

Ciò, in altri termini, significa che il D.L. 2552001, più che interpretare la legge 12499, che aveva originariamente previsto l’articolazione in fasce, la integra, cosa che ad avviso del TAR fuoriesce dalla potestà interpretativa del Legislatore.

A chi scrive, in verità, la tesi sembra piuttosto azzardata, e ciò a prescindere da giudizi di merito sulla legge impugnata, bensì per la considerazione più marcatamente giuridica che il Legislatore ha piena discrezionalità nello stabilire che una norma, da lui stesso emanata, vada intesa in un modo invece che in un altro.

La stessa Corte Costituzionale, invocata con l’ordinanza de qua, ha più volte ribadito che “non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Infatti, il divieto di retroattività della legge – pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento, cui il legislatore ordinario deve in principio attenersi – non è stato elevato a dignità costituzionale, salva per la materia penale la previsione dell’art. 25 della Costituzione. Quindi il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare norme con efficacia retroattiva – interpretative o innovative che siano – purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. E proprio sotto l’aspetto del controllo di ragionevolezza, può rilevare la c.d. funzione di interpretazione autentica che una norma sia chiamata a svolgere con efficacia retroattiva” (Corte Costituzionale, decisione del 23 luglio 2002, n. 374.

E’ chiaro che la pronuncia della Corte Costituzionale (che peraltro è solo l’ultima di una serie di decisioni conformi) non si riferisce al caso in discussione, ma è altrettanto evidente che sembra difficile che possa ribaltare dei principi che sembrano ormai incontrovertibili; a meno che non rilevi nella legge impugnata, quella manifesta irragionevolezza, a cui fa riferimento nell’ultimo periodo citato, che possa inficiarne il contenuto.

Avv. Giuseppe Motta

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