Bias cognitivi: ovvero come i pregiudizi influiscono sul ragionamento

di Giuseppe Motta

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  1. Premessa

Le fallacie logiche[1] rientrano nell’ambito della filosofia e della logica ed indicano errori nel ragionamento che portano l’argomentatore a violare le regole del confronto dialettico corretto. I Bias invece ineriscono alla psicologia cognitiva e sociale e rappresentano una distorsione del ragionamento condizionata dal preconcetto o dal pregiudizio e che porta ad errori di valutazione o a mancanza di oggettività nel giudizio. Spesso i due concetti sono correlati al punto che ad una fallacia frequentemente corrisponde un Bias.

Bias è un termine che trae origine dal latino e, prima ancora, dal greco epikársios, obliquo. Inizialmente, era usato nel gioco delle bocce, per indicare i tiri sbagliati, che portavano a conseguenze negative. Nella seconda metà del XVI secolo assunse un significato più ampio e venne utilizzato per indicare un’inclinazione, una predisposizione o un pregiudizio.

La nascita e la diffusione del concetto di “Bias Cognitivi” è riconducibile all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso, quando gli psicologi Kahneman e Tversky iniziarono un programma di ricerca (Heuristics and Bias Program) allo scopo di comprendere in che modo gli esseri umani maturano decisioni in contesti caratterizzati da ambiguità, incertezza o scarsità delle risorse disponibili. Le evidenze sperimentali, accumulate durante la sperimentazione, sembravano confutare gli assunti di base della teoria classica delle decisioni, in base alla quale si ritiene che ci sia la razionalità alla base dei comportamenti e delle decisioni degli individui. Pertanto, i due autori svilupparono una nuova teoria con cui guardare ai processi decisionali nel tentativo di giungere ad un modello che fosse quanto più rappresentativo del reale comportamento umano[2]. Secondo tale teoria, gli individui prendono le loro decisioni utilizzando un numero limitato di scorciatoie mentali, piuttosto che complessi processi razionali.

Un processo decisionale classico si articola, in genere, in otto fasi:

  1. la definizione dei problemi in strutturati e non strutturati, i primi hanno a disposizione un grande numero di informazioni e una quantità finita di alternative; i secondi, invece, sono più complessi e incerti.
  2. La definizione degli obiettivi, che rispecchiano le preferenze e la convenienza individuali.
  3. La raccolta delle informazioni che vengono ritenute coerenti ed utili alla risoluzione del problema.
  4. La valutazione delle informazioni, che vengono analizzate, per utilizzare quelle rilevanti.
  5. La definizione delle alternative possibili sulla base delle informazioni raccolte.
  6. La valutazione delle alternative possibili sulla base della convenienza.
  7. La scelta dell’alternativa più soddisfacente.
  8. La valutazione dei risultati ottenuti dalla risoluzione del problema, se sono positivi il processo decisionale si conclude, se sono negativi ricomincia da capo.

La psicologia cognitiva ha, però, recentemente chiarito che non è possibile utilizzare sempre un pensiero esclusivamente razionale, l’uomo, infatti, durante l’evoluzione, ha acquisito una serie di comportamenti automatici che gli hanno consentito di sopravvivere in ambienti ostili, prendendo decisioni euristiche. Queste ultime sono meccanismi di pensiero automatici che aiutano il veloce raggiungimento di una soluzione nel momento in cui occorre prendere una decisione in uno specifico contesto. L’euristica cognitiva funziona quindi per mezzo di un sistema chiamato sostituzione dell’attributo, che avviene automaticamente senza alcuna consapevolezza. Quando qualcuno esprime un giudizio complesso da un punto di vista inferenziale, tale valutazione risulta essere sostituita da un’euristica, che è un concetto affine a quello precedente ma formulato in modo molto più semplice. Le euristiche sono, dunque, escamotage mentali che portano a conclusioni veloci con il minimo sforzo cognitivo[3]. Si immagini, a titolo di esempio, che ci presentino tre persone e che in precedenza ci avessero detto che una di loro è un’insegnante in una scuola materna. Durante la conversazione, due di loro dicono che non amano i bambini, mente l’altra dice il contrario. Usando l’euristica della rappresentatività[4], verrebbe immediato pensare che la persona che ha riferito che le piacciono i bambini sia l’insegnante, senza fare ricorso a ragionamenti complessi che prendano in esame tutto ciò che è stato detto nella conversazione o il modo come è stato detto.

Le euristiche, che funzionano correttamente in molti ambiti della vita umana, possono però produrre distorsioni del giudizio in altri ambiti e cioè dei Bias cognitivi, che rappresentano il rovescio della medaglia delle euristiche, nel senso che rendono l’essere umano vittima di ragionamenti automatici incongrui anche se favoriscono la rapidità delle decisioni.

Diversamente dall’Homo sapiens delle origini, oggi l’essere umano vive in un ambiente decisamente meno ostile dal punto di vista fisico ma molto più ostile dal punto di vista psichico, ciò è dovuto ad un sovraccarico informativo e ad una manipolazione mediatica che nell’arco di pochi decenni si è talmente sviluppato da lasciare poco spazio all’evoluzione euristica ed agli automatismi adattivi[5].

  1. Cosa sono i Bias cognitivi

I Bias cognitivi possono essere definiti come costrutti fondati, al di fuori di un giudizio critico, su percezioni errate o deformate, su pregiudizi e ideologie; utilizzati spesso per prendere decisioni senza il giusto impegno mentale. Sono quindi errori cognitivi che si possono trovare nella vita di tutti i giorni, su decisioni, su comportamenti e sui processi di pensiero.

Quindi, i Bias sono particolari euristiche usate per esprimere dei giudizi, che alla lunga diventano pregiudizi, su cose mai viste o di cui non si è mai avuto esperienza, invece, come si è visto in premessa, le euristiche in senso proprio funzionano come una scorciatoia mentale e permettono di avere accesso a informazioni immagazzinate in memoria. In sintesi, se le euristiche sono scorciatoie comode e rapide estrapolate dalla realtà che portano a veloci conclusioni, i Bias cognitivi sono euristiche inefficaci, pregiudizi astratti che non si generano su dati di realtà, ma si acquisiscono a priori senza critica o giudizio.

Il ragionamento umano, dunque, fa ampio impiego di euristiche, scorciatoie di pensiero e modalità rapide e intuitive che esulano dal ragionamento logico. Ciò che rende questi stili di pensiero disfunzionali non è la loro presenza, ma la loro rigidità e inflessibilità, specialmente quando conducono ad interpretare gli eventi in modo irrealistico e, spesso, negativo.

Gli errori di ragionamento, quando avvengono in modo sistematico, possono causare problemi, perché sono alla base di pensieri e credenze disfunzionali, che hanno un forte impatto emotivo con conseguenze anche nel modo di affrontare la realtà. Frequentemente si tende a rifiutare l’idea che, in certe situazioni, si possano commettere tali errori; ciò in quanto i dati che minacciano l’autostima delle persone tendono ad essere ignorati. La percezione degli errori cognitivi commessi dagli altri si accoppia di solito con la negazione dei propri errori, ma i Bias cognitivi sono inevitabili e la psicologia ha dimostrato che tutti, anche le persone più intelligenti e aperte, ne sono vittima.

Ma in base a che cosa il cervello ricorre alle euristiche piuttosto che al pensiero razionale rischiando spesso di ricadere nelle distorsioni cognitive?

Per comprenderlo occorre tornare indietro e chiarire alcuni concetti sul funzionamento del cervello umano. Secondo la psicologia e la neuroscienza, il nostro cervello è composto da due sistemi di ragionamento che operano in modo opposto ma parallelamente, anche se sono entrambi fondamentali, perché assolvono generalmente a funzioni diverse. Il Sistema 1 e il Sistema 2.

Il Sistema 1 attiene all’intuito e all’istinto, è quello primordiale, che permette di giungere a conclusioni rapide per aumentare le capacità di sopravvivenza (il procedimento euristico, appunto). Si è chiarito, infatti, che allo stato di natura è necessario reagire velocemente ai pericoli, ogni ritardo può essere fatale. Per questo motivo, il Sistema 1 tende a prevalere di fronte a problemi apparentemente semplici, o che suggeriscono una risposta intuitiva immediata o per gestire quella che si può definire “l’ordinaria amministrazione”, per svolgere cioè tutte quelle azioni quotidiane che si fanno in modo routinario.

Il Sistema 2 si fonda invece sulla riflessione, sul ragionamento e sull’approccio critico ed è la parte più evoluta del cervello, che esegue ragionamenti, calcoli complessi, verifiche e riscontri. Come tale, a differenza dell’istinto, deve essere consapevolmente attivato e comporta un maggiore sforzo.

A volte capita che i Sistemi entrino in conflitto o che uno travalichi l’altro. Ciò accade essenzialmente perché il Sistema 1 si attiva automaticamente, suggerendo risposte, schemi, associazioni di idee e deduzioni prima che il Sistema 2 possa valutare la questione in modo razionale. In alcuni casi si arriva a non attivare neppure la razionalità, avendo già ottenuto una risposta “coerente” dall’intuito.

Questo è ciò che accade nelle “domande a trabocchetto” come, ad esempio: una racchetta e una palla da ping pong costano in tutto 1,10 euro. La mazza costa un euro più della palla. Quanto costa la palla?

Attivando il Sistema 1 e facendo, quindi, un “non ragionamento” si tenderà a rispondere che la palla costa 10 centesimi, perché si tende a sottrarre istintivamente un euro dal totale. In questo caso però il costo complessivo della mazza più la palla sarebbe 1,20 euro e non 1,10. La risposta esatta è, invece, 5 centesimi. Il costo della palla si ottiene togliendo dalla somma del prezzo della palla più quello della mazza (1,10 euro) la differenza dei due prezzi e dividendo il risultato per due. Quindi il costo della palla è uguale a (1,10- 1): 2, cioè 0,05 euro, ovvero 5 centesimi[6].

la soluzione fornita dal Sistema 1, essendo più intuitiva e rapida è fondata su un procedimento euristico e viene accettata dal cervello senza alcuna verifica, senza attivare il Sistema 2. Ciò genera la creazione di convinzioni, schemi, associazioni e correlazioni attraverso Bias cognitivi, che si radicano nel sentire comune andando a costituire la struttura stessa dei pregiudizi, che spesso, come nel caso dell’esempio, sono in realtà totalmente sbagliati.

  1. I Bias cognitivi: una tassonomia

I Bias cognitivi sono moltissimi e molti psicologi hanno tentato di raggrupparli sulla base di differenti teorie cognitive. Tuttavia, le tassonomie elaborate, essendo concepite a partire da differenti approcci teorici e sulla base di diversi criteri, spesso non consentono un confronto, al loro interno, tra le classificazioni. Le categorie generali, elaborate da Ceschi e Sartori, che sulla base di un’ampia ricerca empirica ne hanno individuate cinque, sono probabilmente quelle che più di ogni altra consentono di creare una tassonomia delle euristiche e dei Bias in base alle predisposizioni individuali d’incorrere nelle distorsioni cognitive[7]:

  1. Ancoraggio: è chiamato anche trappola della relatività ed è una categoria di Bias per il quale nel prendere una decisione si tende a confrontare solo un insieme limitato di elementi, “ancorandosi” su un singolo valore che viene poi usato come termine di paragone per le decisioni da prendere.
  2. Costo: nelle ipotesi in cui viene sopravvalutato il valore dei costi o delle perdite e ciò condiziona le decisioni che ne scaturiscono.
  3. Desiderio: In questo caso i Bias sono caratterizzati dall’influenza che il desiderio ha nei processi decisionali.
  4. Framing: sono caratterizzati dall’influenza del contesto nei processi decisionali; la presenza di uno schema interpretativo strutturato nella mente che toglie obiettività condizionando le decisioni.
  5. Rappresentatività: in ambito decisionale questi Bias si caratterizzano per la violazione di regole probabilistiche a favore delle opzioni più rappresentative e più mentalmente disponibili, in quanto la mente ha spesso difficoltà ad elaborare giudizi di probabilità sull’incidenza di un evento su un determinato processo decisionale.

Le categorie rappresentate consentono una classificazione dei singoli Bias che sia coerente al funzionamento della mente, consentendone un’analisi accurata anche al fine di “disinnescarne” la pericolosità che consegue alle false rappresentazioni della realtà di cui sono causa.

Non è possibile né necessario, in questa sede, analizzare tutti i Bias cognitivi, per cui mi limiterò ad indicare i più rappresentativi in funzione delle categorie generali elencate, spiegando le ragioni per cui tutti ne siamo vittime e come fare per evitarli il più possibile.

3.1 I Bias di “ancoraggio”

I Bias di ancoraggio sono errori di percezione nelle scelte decisionali di cui frequentemente approfittano gli esperti di marketing nelle vendite. Questa distorsione del ragionamento, infatti, riguarda la prima idea che ci si fa relativamente ad un determinato prodotto: se ad esempio si cerca in Rete il prezzo di un prodotto, il primo risultato della ricerca sarà importantissimo (nei motori di ricerca si paga per essere al primo posto delle ricerche) perché diventerà il prezzo di riferimento, il punto di ancoraggio, che verrà utilizzato per valutare tutte le altre offerte. Mantenere il prezzo originario barrato, inoltre, laddove si inserisce il prezzo scontato funziona da ancoraggio nella psiche del consumatore. Più lo sconto è alto, più il compratore penserà di essere davanti ad un affare, spingendo a farsi una rappresentazione dei fatti che influenzerà il suo processo decisionale, prescindendo dalla reale convenienza dell’affare.

Allo stesso modo quando, ad esempio, si intende acquistare nell’Apple store un Iphone, il prezzo di partenza inserito nel carrello diventerà la base per l’effetto ancoraggio nei passaggi successivi per i prodotti che verranno proposti durante la procedura di acquisto; se l’Iphone costa mille euro questo prezzo sarà sempre ben evidente in ogni passaggio e quando il venditore proporrà l’acquisto di una cover a 35 euro, sembrerà molto conveniente e così via fino all’acquisto finale che quasi sempre sarà maggiore di quello preventivato.

In genere anche quando si cerca di allontanarsi dall’ancoraggio non ci si riesce mai completamente. Questo è dimostrato dal fatto che la decisione finale si avvicina sempre, in un modo o nell’altro, al primo dato ancorato. Dopo che è avvenuto l’ancoraggio, il cervello valuta una risposta adeguata. Se non è adeguata, emetterà altri giudizi, ma sempre basati sull’informazione ancorata. Dopo l’ancoraggio, si cambia sempre atteggiamento e le risposte successive, pertanto, saranno sempre legate all’ancora.

3.2 I Bias di costo

  • Il Bias di costo più rappresentativo è il cosiddetto “effetto dotazione” che consiste nella discrepanza, tra la valutazione che si dà ad un bene nel caso in cui lo si possieda e la valutazione che si dà dello stesso bene nel caso in cui non lo si possieda. In particolare, si tende a valutare di più un bene che già si possiede, ovvero che fa parte della nostra dotazione. La spiegazione di questo fenomeno si fonda sul mental accounting per cui le persone interpretano i costi opportunità come mancati guadagni e i costi vivi come perdite: il principio euristico dell’avversione alle perdite darebbe quindi luogo all’effetto dotazione. Ad esempio, la maggior parte delle persone detesta l’idea di vendere la propria casa ad un prezzo inferiore a quello d’acquisto, anche se dovesse avere la certezza che il valore di mercato non salirà più.
  • Tra i Bias di costo vi è anche “l’effetto costi sommersi” in base al quale, nel valutare un investimento o un progetto, spesso si considerano, oltre a costi e benefici marginali, le risorse già impegnate e non più recuperabili. Questo effetto sembra causato dal fatto che si tenta in ogni modo di evitare sprechi pagando per beni che non si utilizzano, in quanto questo genera un’avversione alla perdita, la tendenza cioè a preferire di evitare le perdite, all’acquisizione di guadagni equivalenti. in questo caso viene violata un’ipotesi della teoria economica classica che vorrebbe che i costi relativi a scelte già compiute e irreversibili (detti costi affondati), non influenzassero le scelte successive. Alcuni esempi molto banali aiutano a comprendere questa distorsione del ragionamento: andiamo a vedere un film che dopo pochi minuti troviamo noioso e brutto, a questo punto dovremmo alzarci ed andare via senza sprecare il nostro tempo, invece, nella quasi totalità dei casi rimaniamo a vedere il film fino alla fine, sulla base del semplice ragionamento che altrimenti avremmo sprecato i soldi del biglietto. Un altro esempio emblematico è “l’esperimento delle scarpe” in base al quale si sono regalate un paio di scarpe di grande valore ad alcune persone mentre, le stesse scarpe, da altri sono state pagate. In tutti i casi le calzature erano strette e dolorose per i piedi; coloro che le avevano ricevute in regalo hanno immediatamente smesso di adoperarle, viceversa coloro che le avevano pagate profumatamente si sono mostrati molto più restii ad abbandonarle, continuando ad indossarle malgrado la loro scomodità. Questa scelta è palesemente irrazionale in quanto considera solo il costo di acquisto non recuperabile ma non i costi aggiuntivi ed evitabili (il dolore ai piedi, il rischio del sopravvenire di lesioni, costo del podologo, ecc.).

Alla base di entrambi i Bias esaminati vi è l’idea generalizzata che l’acquisto genera utilità non solo perché permette di fruire di un certo bene, ma anche perché le persone si fanno convincere dall’idea di aver fatto un affare[8]. Si tratta dello stesso stimolo per cui chi acquista ad esempio un’automobile costosissima tenderà sempre a dire di aver speso bene i suoi soldi, ne evidenzierà i pregi sminuendo i difetti e ciò perché difficilmente la sua mente ammetterà di aver sprecato i soldi o di essersi fatta raggirare.

3.3 Bias di desiderio

I Bias più rappresentativi di questa categoria sono: l’effetto della mano calda, l’effetto alone e l’effetto della mera esposizione.

  • L’effetto della mano calda è un errore logico che riguarda l’errata convinzione che eventi occorsi nel passato influiscano su eventi futuri nell’ambito di attività che sono in realtà governate dal caso, l’ipotesi emblematica è quella relativa ai giochi d’azzardo. Frequentemente, infatti, alcuni hanno la tendenza a credere che dopo aver avuto, casualmente, successo in un evento (una serata fortunata alla roulette) possano facilmente replicarlo. Su questa distorsione si può basare, ad esempio, il vizio del gioco, che può degenerare in ludopatia che è una patologia ormai ampiamente riconosciuta. Spesso infatti è facile vedere nei Casinò dei giocatori che, dopo una serie di puntate vincenti alla roulette, iniziano ad aumentare il valore delle proprie puntate convincendosi di attraversare una fase positiva per poi, inevitabilmente perdere tutto.
  • L’effetto Alone è la tendenza a valutare le persone o gli oggetti, prendendo in considerazione un solo loro tratto saliente nella valutazione delle altre caratteristiche. “L’effetto alone contribuisce a mantenere semplici e coerenti le narrazioni esplicative esagerando la coerenza delle valutazioni: i buoni fanno solo cose buone e i cattivi solo cose cattive[9]. In altri termini la percezione di alcuni tratti è fortemente influenzata da altre caratteristiche che non hanno niente a che fare con i primi. A titolo esemplificativo in genere si tende a considerare come intelligente un uomo solo perché elegante e di bell’aspetto, oppure si ritiene che un oggetto di un marchio conosciuto sia migliore di uno con un marchio sconosciuto.
  • L’effetto della mera esposizione infine fa sì che ripetute esposizioni ad un certo stimolo siano in grado di cambiare l’atteggiamento del soggetto verso di esso, in particolare, di renderlo più attraente agli occhi dell’osservatore[10]. Tale Bias risulta maggiore quando non c’è un atteggiamento precedente (atteggiamento neutro) nei confronti della persona o dell’oggetto, o quando l’atteggiamento è già positivo. Secondo lo psicologo Robert Zajonc, che per primo lo teorizzò, questo fenomeno rappresenta una reazione alla paura. L’uomo ha la tendenza innata ed essenzialmente adattiva ad evitare stimoli nuovi ed avere reazioni ansiogene di fronte ad essi. Per evitare che ogni nuovo stimolo generi queste sensazioni spiacevoli, la mente lo rende più piacevole e attraente. Lo psicologo effettuò delle sperimentazioni in base alle quali dimostrò l’esistenza di una relazione tra frequenza d’esposizione ad uno stimolo e la conseguente valutazione dello stimolo stesso. In particolare, in uno di questi esperimenti sono stati mostrati ad alcuni soggetti 12 immagini rappresentanti ideogrammi cinesi, la cui frequenza di presentazione, manipolata dallo sperimentatore, variava da 0 a 23 esposizioni. Il compito richiesto consisteva unicamente nel prestare attenzione alle immagini presentate. Nella seconda fase gli sperimentatori hanno comunicato ai partecipanti che i caratteri visti in precedenza erano in realtà degli aggettivi appartenenti ad una lingua straniera che avevano un significato positivo o negativo. Il compito dei soggetti era di indicare quali tra quelli avevano significato positivo e quali negativo. I risultati dimostrarono l’esistenza di una relazione positiva tra frequenza di esposizione e valutazione attribuita agli aggettivi. In pratica i soggetti hanno valutato più positivamente gli stimoli ai quali nella prima fase sperimentale sono stati esposti con maggior frequenza. Lo stesso studio dimostra però che oltre una certa frequenza di esposizione si ottiene l’effetto opposto e ciò per la teoria della “familiarità degli stimoli” secondo la quale nel momento in cui uno stimolo diventa eccessivamente abituale e familiare tende a perdere parte del suo potenziale attrattivo. Questo effetto dà la possibilità di riflettere su quanto sia facile influenzare il giudizio delle persone. Questo meccanismo agisce a livelli più sottili della pubblicità, ma può risultare più efficace: così, ad esempio, si può diffondere una moda. L’effetto della mera esposizione, combinato con l’effetto della familiarità degli stimoli, spiega la ragione per cui l’enorme esposizione multimediale di alcuni personaggi politici ne ha aumentato a dismisura il gradimento tra gli italiani, ma la successiva sovraesposizione continuativa ne ha lentamente ma inesorabilmente ridotto l’appeal.

3.4 Bias di Framing

I Bias di Framing sono caratterizzati dall’influenza del contesto nei processi decisionali. Più specificamente, il termine framing si riferisce a un processo di influenza selettiva sulla percezione dei significati che un individuo attribuisce a parole, elementi o immagini. Il framing definisce la “cornice” di un elemento in modo da incoraggiare determinati comportamenti. I “frame” sono quelle strutture basilari della comprensione che “danno un senso” a ciò che succede, dando la possibilità di comprendere meglio la realtà. Il framing, quindi, è quello sforzo che ogni persona compie ogni volta che si trova in un nuovo contesto e consiste nel riconoscere cosa sta accadendo in quel determinato contesto. Gli effetti del framing si verificano quando le persone danno risposte diverse a problemi strutturalmente simili a seconda della “cornice” con cui si presentano.

I Bias di Framing sono quelli che maggiormente smentiscono l’assunto dell’economia classica in base al quale i soggetti agiscono in sempre in base a principi di razionalità. Tra i molteplici esempi appartenenti a questa categoria si riportano di seguito solo i più frequenti ed importanti.

  • Il Bias di conferma, ovvero la tendenza a cercare conferme alle proprie convinzioni o ai propri pregiudizi e a rifiutare evidenze che le contraddicono. Tendenzialmente ognuno tende ad evitare individui, gruppi o letture che contraddicono il proprio modo di pensare, perché ciò produce una “dissonanza cognitiva” e cioè cognizioni o pensieri antitetici e per questo in contrasto tra loro al punto da creare disagio alla persona; Tutti hanno la tendenza a cercare prove ed evidenze a sostegno delle proprie idee e a rigettare quelle contrarie ad esse. Si tratta di una modalità di comportamento preferenziale che porta al Bias di conferma, ovvero l’atto di riferimento alle sole prospettive che alimentano i nostri punti di vista preesistenti. Si tratta di uno dei pregiudizi più studiati dalla psicologia cognitiva perché è caratterizzato dal fatto che nessuno ne è immune, anche se con differenze individuali, indipendentemente da fattori quali l’intelligenza o la cultura. Si tratta di una forma di autoinganno che ha varie ragioni, quali ad esempio la difesa dell’identità personale per cui si tende a difendere le idee, i principi e i modi di vedere che sono alla base della propria identità; oppure perché le nostre idee sono quelle del gruppo sociale di riferimento e che, quando sono contraddette, creano una dissonanza con il senso di appartenenza. Nell’ambiente sociale il Bias di conferma ostacola la valutazione pubblica di opinioni e argomenti, favorendo la propaganda politica, la scarsa credibilità dei mass media, il disprezzo per l’opinione degli esperti, la polarizzazione e la manipolazione delle opinioni, il conformismo sociale e il complottismo. Tutte cose che si vedono giornalmente sui Social. Il procedimento con cui si evidenzia parte sempre da una “ricerca selettiva delle prove”, per cui le persone cercano solo prove coerenti con le loro stesse ipotesi; piuttosto che quelle che potrebbero “falsificarle”. Un teorico del complotto, ad esempio, tenderà sempre a prendere per buone tutte quelle notizie che sembrano dimostrare le sue teorie, bollando come frutto dell’informazione mainstream tutte le altre e senza minimamente porsi il problema che queste ultime potrebbero essere, anche se solo in parte, corrette. La Rete è oggi il luogo dove maggiormente si sviluppa il Bias di conferma e spesso i Social ed i motori di ricerca ne sono, più o meno consapevolmente, i principali responsabili. Essi, infatti, utilizzano degli algoritmi di personalizzazione dei contenuti, mediante la registrazione del comportamento on line e la profilazione degli utenti (i siti visitati, le ricerche più frequenti, chi sono gli amici nei social, quali post vengono condivisi o commentati e su quali sono stati messi like). L’intento dichiarato è quello di aiutare l’utente a trovare le informazioni più attinenti ai suoi interessi e quello di inoltrargli solo la pubblicità che potrebbe interessargli. Tale personalizzazione, combinata con il Bias di conferma, è molto pericolosa perché l’algoritmo dei motori di ricerca o dei social tenderà sempre più a mettere in primo piano gli argomenti che, con il comportamento on line, l’utente ha dimostrato di preferire; per cui se ad esempio si mettono alcuni like su notizie che riportano la pericolosità del G5 o su teorie negazioniste della pandemia di Covid-19, i motori di ricerca e i Social tenderanno a fornire in primo piano le pagine web o i post che confermano tali teorie, con la conseguenza che si viene a creare un circolo vizioso in base al quale più si vedono tali notizie, più l’algoritmo tenderà a metterle in primo piano, più ci si convince che sono sempre di più a pensarla come noi e più ci si rafforza nelle proprie idee, rifiutando ogni opinione contraria. Ciò ovviamente vale in modo eclatante con le teorie complottiste ma è altrettanto valido con qualsiasi convinzione o pregiudizio di cui tutti siamo vittima.
  • L’errore di attribuzione (o Bias attore-osservatore) rappresenta la tendenza ad attribuire la causa di un comportamento, di un altro, alla sua personalità o al suo modo di essere (attribuzione disposizionale), senza tener conto dell’influenza che l’ambiente o il contesto potrebbe avere nel determinare tale comportamento (attribuzione situazionale). Esso svolge un ruolo fondamentale nel modo in cui gli altri si percepiscono o si interagisce con loro. In altri termini, si tende a fare attribuzioni diverse a seconda del fatto che in un determinato contesto si è attori oppure osservatori. Le circostanze esterne, invece, hanno sempre un ruolo attivo nell’influenzare le azioni e i comportamenti, e l’attribuzione della causa di un fenomeno dipende sempre dal punto di vista che si assume nell’osservare quel determinato fenomeno: se il giudizio è espresso da chi agisce, allora si pone l’attenzione sul pubblico e sulle condizioni esterne, se invece è una persona esterna che formula un giudizio allora si traggono conclusioni basandosi sulla persona senza considerare il contesto. Di norma le attribuzioni interne sono volte a mantenere alta l’autostima in caso di successo, al contrario nell’ipotesi di un insuccesso si tenderà ad attribuirne la causa alla situazione. L’esempio tipico di tale distorsione del ragionamento è quello del pedone che assiste ad un incidente automobilistico causato da una donna e da un giudizio “disposizionale”, attribuendo la responsabilità alla donna perché “com’è noto le donne non sanno guidare”; se, viceversa, è stato lui a causare l’incidente tenderà sempre a dire che la colpa era della strada dissestata o di un fattore esterno che lo ha obbligato a fare quel tipo di manovra da cui è scaturito l’incidente, con un giudizio di tipo “situazionale”.
  • L’In-group Bias (favoritismo di gruppo), per cui spesso anche in assenza di interessi contrapposti, la gente tende a prediligere il proprio gruppo di appartenenza, mostrandosi ostile nei riguardi dell’out-group[11]. Questo Bias è collegato al concetto di identità sociale che è, a sua volta, legato alla consapevolezza dell’appartenenza a certi gruppi sociali ed al significato emozionale e valutativo che risulta da tale appartenenza. Una parte del concetto che ognuno ha di se stesso deriva dall’appartenenza ai gruppi sociali. L’autostima di un individuo dipende, infatti, non solo dai successi personali, ma anche da quelli dei gruppi di cui fa parte; poiché una parte della propria identità deriva dai gruppi a cui ognuno sente di appartenere, si ha un forte bisogno di valorizzarli e vederli imporsi sugli altri, anche a costo di sviluppare sentimenti negativi e comportamenti discriminatori nei riguardi dei membri dell’outgroup[12]. Le persone spesso perdono, per ragioni di diverso tipo, il significato della propria esistenza che cercano di riacquisire mediante l’adesione a un gruppo nel quale possono sentirsi accettati e nel quale riescono a conseguire – anche se solo di riflesso – il prestigio, il riconoscimento e il potere. Questo bisogno, se viene diretto correttamente può portare a legare gli individui ai gruppi positivi e pro-sociali, ma purtroppo anche ai gruppi estremi. I gruppi estremisti hanno legami chiusi e rigidi, attitudini uniformi, sono gerarchicamente strutturati e praticano l’intolleranza verso quelli che dissentono. Questi gruppi sono spesso etnocentrici e i loro tratti salienti sono la grandiosità, l’arroganza, la carenza di empatia, l’eccessiva autostima e le fantasie di successo illimitato. In tali gruppi, c’è una forte aspettativa di omogeneità e consenso e le critiche vengono considerate degli attacchi alla coesione ed alla purezza del gruppo. Il senso di impotenza individuale viene superato abbracciando un’ideologia collettivista in grado di restituire autorevolezza e potere, in nome dei quali compiere qualcosa per il gruppo (in casi estremi anche atti terroristici). Questa distorsione cognitiva fa si che all’interno del gruppo sia preclusa ogni possibilità di critica ma si pretenda un’uniformità che si rafforza con il comportamento collettivo. Ciò è facilmente verificabile nei Social, in quei gruppi caratterizzati da una credenza comune forte (gruppi religiosi o politici) che accettano supinamente ogni indicazione o notizia proveniente da fonti dal gruppo ritenute attendibili, escludendo ogni tentativo di fact checking e stigmatizzando ogni critica anche con un’eccessiva violenza comunicativa che frequentemente sfocia nell’insulto personale.
  • Il Bias della “correlazione illusoria” illusoria è stato studiato in psicologia con particolare riferimento alla formulazione dei giudizi sociali e alla formazione degli stereotipi sulle minoranze[13], esso rappresenta la tendenza ad associare due o più cose a prescindere dall’effettiva relazione causa-effetto tra di esse ed è spesso collegata all’In-Group Bias. Un esempio tipico è quello per cui si tende ad associare eventi insoliti come l’essere membro di una minoranza (ad esempio l’essere migranti) con la messa in atto di un comportamento negativo perché si è assistito magari ad un unico fatto, appunto negativo, collegato a quella minoranza, mentre in genere si associano comportamenti positivi al gruppo a cui si appartiene. Questo effetto si basa su un’interpretazione distorta, nella quale prove oggettivamente neutre o sfavorevoli sono interpretate per confermare dei pregiudizi o degli stereotipi preesistenti. È anche correlato con le distorsioni nel comportamento di verifica delle ipotesi, se, ad esempio, in un giorno di pioggia si sentono dolori articolari si dà come verificata l’ipotesi per cui la pioggia porta sempre dolori articolari. Come ogni distorsione cognitiva, la “correlazione illusoria” serve anche a chi spera di avere sotto controllo un evento, incorrendo nella trappola mentale della ricerca delle conferme, anziché delle confutazioni, per cui è più portato a validare convinzioni ottimistiche e a dar meno peso ad argomenti che le possono contraddire. Molto spesso si cade in questi Bias involontariamente a causa di una difficoltà nella lettura del contesto e nell’accettare di non poter controllare l’incerto in una società complessa come è quella attuale; il meccanismo è di fatto molto simile a quello che innesca il Bias di conferma.
  • L’Effetto “senno del poi” (o hindsight Bias) è una distorsione retrospettiva del giudizio per cui il solo fatto di sapere, a posteriori, com’è andata finire, ci induce a ritenere sistematicamente più probabile quell’esito anche alla luce dei fatti che erano disponibili fin dal principio. Dopo che un determinato evento si è verificato questo ci appare più probabile di quanto prima pensavamo che fosse. Gli psicologi chiariscono che l’errore del giudizio retrospettivo è alimentato da un meccanismo per cui, a posteriori, la mente seleziona solo i ricordi che confermano l’esito di un evento, generando una narrazione dei fatti che acquista un senso solo attraverso quelle informazioni, deducendone di conseguenza la prevedibilità. In pratica è quanto succede quando si sentono le persone parlare della pandemia; accompagnata da senso d’angoscia, rabbia e impotenza, spesso si sente dire: “ma come hanno fatto a non capirlo?”; oppure nel campo sanitario quando si accusano quei medici che a detta dei pazienti sono responsabili di non aver saputo anticipare ciò che ora, a cose fatte, e guardandosi all’indietro la corretta diagnosi sembra evidente. Le cause contro i medici, infatti, sono quasi sempre intentate dopo che l’evento è già avvenuto. Il meccanismo per cui scatta la trappola è sempre lo stesso: il solo fatto di sapere a posteriori quale fosse la diagnosi corretta, induce a ritenere sistematicamente più probabile quella diagnosi alla luce dei dati clinici che erano disponibili fin dal principio.

         Il giudizio retrospettivo può portare ad alcune conseguenze:

  1. La tendenza a dare rilievo solo alle informazioni che confermano l’evento, comportando una sostanziale semplificazione dei fatti.
  2. L’eccessiva fiducia nelle proprie capacità di previsione degli eventi futuri.
  3. L’idea che l’evento fosse prevedibile potrebbe far rimpiangere amaramente di non aver preso la decisione giusta fin dall’inizio.

3.5 I Bias di Rappresentatività

Nei processi decisionali questi Bias si caratterizzano per la violazione di regole probabilistiche a favore delle opzioni più rappresentative e più mentalmente disponibili. In particolare, per euristica della rappresentatività si intende una scorciatoia del pensiero che permette di paragonare le informazioni a disposizione con degli stereotipi mentali. Spesso però l’euristica della rappresentatività non funziona e produce dei pregiudizi, dei bias e quindi delle distorsioni nel ragionamento. I più diffusi sono:

  • La fallacia della congiunzione che si presenta quando si ritiene che, per l’accadimento di uno specifico evento, due o più condizioni contemporanee siano più probabili di una singola. Ciò avviene perché le persone di norma non sanno come funzionano le probabilità. Nel 1982 Kahneman e Tversky hanno posto un quesito ad alcuni soggetti partendo da questo esempio, diventato famoso come la storia di Linda[14]: “Linda ha 31 anni, è single, brillante e laureata in filosofia. Ha partecipato assiduamente a manifestazioni anti-nucleare e si è sempre impegnata nel combattere le discriminazioni, interessandosi in particolare al movimento “Occupy Wall Street”. Il quesito posto dagli psicologi era il seguente:

Sapendo queste notizie su Linda, quale delle seguenti proposizioni è più   probabile?

1) Linda lavora per JP Morgan.

2) Linda lavora per JP Morgan ed è attiva nel movimento femminista.

Il 90% degli intervistati ha dato la seconda risposta, solo che è la risposta sbagliata, infatti la congiunzione di due eventi qualsiasi non può avere più probabilità di accadere di uno solo degli stessi. Al massimo ha la stessa probabilità: se si prendono due eventi probabili al 100%: la loro congiunzione è anch’essa certa. Al massimo, dunque, la congiunzione ha la stessa probabilità, mai di più. Ogni situazione in cui Linda lavora per JP Morgan ed è attiva nel movimento femminista, è anche una situazione in cui lavora per JP Morgan quindi la soluzione 2) rientra sempre nella 1) che è più generica. In quelle poche situazioni in cui lavora solo per JP Morgan e non è attiva nel movimento femminista, invece, Linda soddisfa la 1) ma non soddisfa la 2). Il “numero” di situazioni in cui Linda soddisfa la 1), dunque, è sempre maggiore di quello delle situazioni in cui soddisfa 2). Il problema, quindi, provoca un conflitto tra l’intuizione della rappresentatività e la logica della probabilità. I giudizi di probabilità dati da chi ha risposto al quesito corrispondevano esattamente ai giudizi di rappresentatività, cioè di somiglianza con gli stereotipi.

  • La fallacia del giocatore, in cui sempre ricadono i soggetti malati di ludopatia, è la tendenza ad attribuire ad eventi occorsi in passato la capacità di influire su eventi futuri nell’ambito di molti giochi d’azzardo. La tendenza è quella di giungere a decisioni basate sulla legge dei grandi numeri anche quando il campione in esame è di ridotte dimensioni, interpretandola, quindi in modo errato. L’esempio classico è quello che viene definito “errore del giocatore d’azzardo”: si supponga che una moneta venga lanciata per 5 volte e che abbia mostrato tutte le volte testa. Al sesto lancio, nonostante la probabilità che la moneta mostri croce sia sempre del 50%, molti scommettitori affermeranno che è più probabile l’uscita di croce, poiché ritengono che la distribuzione tra testa e croce debba essere probabilisticamente equa. Ma tale ragionamento è sbagliato, perché la legge dei grandi numeri è valida solamente quando il campione osservato è di dimensioni molto più grandi. Com’è noto dalle cronache quotidiane, questo stile di pensiero conduce a comportamenti disfunzionali, ad esempio favorendo la persistenza nel gioco a dispetto dei risultati che produce una vera e propria “rincorsa delle perdite”. Il giocatore continua tenacemente a scommettere nonostante abbia già subito intense perdite, nella speranza di arrivare alla vincita riparatoria. È stato dimostrato che a “mente fredda”, si è più portati a scegliere una strategia di tipo “conservativo” per fronteggiare la perdita; le emozioni che questa provoca, viceversa, spingono i partecipanti a compensare lo stato emozionale negativo, cercando la vincita riparatoria[15].

4 CONCLUSIONI

Come si è visto nella breve disamina dei Bias più comuni, questi forniscono risposte intuitive immediate, sostituendosi ad un approccio razionale e riflessivo e non sono poi altro che quelle dinamiche che caratterizzano e favoriscono l’analfabetismo funzionale.

Quante volte ci si stupisce vedendo post sui Social postati da soggetti che formulano deduzioni prive di senso, commentano articoli senza neanche leggerli o perché ne hanno dato un’interpretazione completamente diversa da quella voluta dall’autore, si lanciano in ragionamenti distorti su teorie scientifiche alternative o su complotti globali. In tutti questi casi, che normalmente si definiscono di analfabetismo culturale, in realtà si è d’avanti all’utilizzo di ragionamenti fondati sui Bias cognitivi, su distorsioni che semplificano il ragionamento ma portano all’errore. La incontrollabile capacità di diffusione che offre la Rete, combinata con la facilità con cui l’analfabeta funzionale tende a “diffondere le proprie teorie” sta provocando devastanti conseguenze sul piano sociale, che, purtroppo, iniziano a farsi sempre più evidenti e pericolose anche per la stessa pacifica convivenza sociale.

L’attivazione dei Bias cognitivi, come si è evidenziato, dipende dall’utilizzo dell’intuito e dell’istinto; pertanto, sarebbe ingenuo pensare che qualcuno possa esserne in qualche modo immune, né che un ampio background culturale su un determinato argomento possa bastare a proteggersi da essi, anche se ovviamente ne diminuisce il rischio. È per questa ragione, infatti, che lo stesso metodo scientifico prevede test volti a scongiurare l’attivazione dei Bias cognitivi proprio perché è noto che il problema colpisce anche gli esperti nel loro stesso campo.

Non esiste dunque un modo per “eliminarli” dai nostri sistemi di ragionamento; essi si attiveranno sempre e comunque, senza che noi possiamo accorgercene. Si può però imparare a conoscerli al fine di ricordare che inevitabilmente si attiveranno tutte le volte che si interpreta o si giudica qualcosa, in modo da attivare quello che è stato definito in precedenza il Sistema 2, quello della riflessione e della razionalità, e spingerlo a verificare se vi è stata qualche distorsione cognitiva nel giudizio o nell’interpretazione di un evento[16].

In questi casi occorre sempre fare alcune riflessioni prima di prendere una posizione netta, che, quanto meno, diminuisce le probabilità di incorrere in errori causati da Bias cognitivi, in particolare occorrerebbe riflettere se si sta giudicando ritenendo che le informazioni di cui si è in possesso siano realmente le uniche esistenti o se si è semplificato troppo l’argomento magari ancorandosi a qualcosa di noto ma che non è inerente l’evento che si intende interpretare o giudicare. Occorrerebbe chiedersi sempre se si stanno sopravvalutando le proprie competenze in quella determinata materia, ignorando le opinioni di scienziati o esperti e se si stanno cercando le informazioni in modo imparziale, o si selezionano solo le informazioni che tendono a confermare la propria tesi. Infine, è sempre utilissimo cercare di capire se il contesto sta influenzando la percezione del fenomeno analizzato.

Non esiste altro modo per evitare i Bias cognitivi che imparare a conoscerli bene per porre in essere tutti i meccanismi utili per scongiurarli.

Giuseppe Motta

[1] Cfr il mio articolo “le fallacie logico-argomentative nel linguaggio politico” su www.giuseppemotta.it.

[2] Cfr. A.Tversky, D. Kahneman, “Judgment under Uncertainty: Heuristics and Biases”, Science 27 Sep 1974: Vol. 185, Issue 4157, pp. 1124-1131. Il contributo rivoluzionario fornito dai due autori fu riconosciuto nel 2002, quando a Daniel Kahneman fu assegnato il premio Nobel per l’Economia “per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza”.

[3] Cfr. anche D. Kahneman, Pensieri lenti e veloci, Mondadori, Milano, 2013.

[4] Cfr. infra paragrafo 3.5.

[5] Cfr. J. E. Korteling, A. M. Brouwer, A Toet, A Neural Network Framework for Cognitive Bias, pubblicato su https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6129743/ (ult. acc. 31/10/2020).

[6] L’esempio è frutto di una ricerca americana da cui è scaturito che tutti per prima formulano mentalmente la risposta errata e poi solo il 17% riesce a trovare quella giusta: cfr S. Frederick, Cognitive reflection and decision making, “Journal of economic perspectives”, 2005, 19, 4, pp. 25-42 (citato da Massimo Piattelli Palmarini su: https://www.treccani.it/enciclopedia/l-illusione-di-sapere_%28XXI-Secolo%29/ ult. acc. 03/11/2020).

[7] Cfr. A. Ceschi – R. Sartori, un approccio empirico per una tassonomia dei Bias cognitivi, 2012 pubblicato nel sito dell’Università di Verona: https://iris.univr.it/retrieve/handle/11562/470757/5815/Ceschi_Sartori_Rubaltelli_2012.pdf.

[8] R. H. Thaler – C. S. Sunstein, Nudge. La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità, Feltrinelli, Milano, 2014.

[9] D. Kahneman, Pensieri lenti e veloci, cit., pagg. 219 e segg.

[10] R. B. Zajong,, Attitudinal effects of mere exposure, Journal of Personality and Social Psychology Monographs, 1968, vol.9, pp.1-27.

[11] C. E. Amiot – R. Y. Bourhis, Ideological beliefs as determinants of discrimination in positive and negative outcome distributions. European Journal of Social Psychology, 35 (2005), pagg. 581-598.

[12] Cfr. H. Tajfel, Gruppi umani e categorie sociali, Il Mulino, Bologna, 1999.

[13] S. Ferruzzi – C. Primi, Aspetti metodologici nello studio della correlazione illusoria: modifica sperimentale del paradigma classico, su “Ricerche di psicologia” anno 2007, fascicolo 1, pp. 37-58.

[14]  D. Kahneman P. Slovic e A. Tversky (a cura di), Judg-ment Under Uncertainty. Heuristics and Biases, Cambridge, University Press, 1982.

[15] G. Loewenstein, Out of control: Visceral influ-ences on behavior, pubblicato sulla rivista: Organizational Behavior and Hu-man Decision Processes, 1996, 65(3), pagg. 272–292.

[16] I Bias cognitivi sono, purtroppo una realtà che incide frequentemente nel campo della giurisdizione ed i magistrati ne sono spesso vittime inconsapevoli, ma questo argomento sarà approfondito in un altro articolo di prossima pubblicazione.

2 pensieri su “Bias cognitivi: ovvero come i pregiudizi influiscono sul ragionamento

  1. Davvero una analisi seria e complessa. Però mi chiedo se sia davvero possibile nella vita di tutti i giorni evitare i “bias”, come è indispensabile fare nelle decisioni importanti. Ma forse quel che è davvero importante sta nella capacità di selezionare i propri atteggiamenti mentali, soprattutto nella discussione pubblica, evitando di difendere quelli adottati in base alle reazioni immediate.
    Comunque grazie per la riflessione, che applica nozioni psicologiche alle dinamiche sociali.

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