la e-burocracy e la teoria del “software legislatore”

imagesL’Electronic Government (E-Government) è la tecnologia al servizio dei processi di regolazione sociale.
Perché possa parlarsi di E-Government – e non semplicemente di “informatizzazione della Pubblica Amministrazione” – è indispensabile l’esistenza di una rete Internet largamente utilizzata dalla pubblica amministrazione, dai cittadini, dalle imprese e dalle organizzazioni non governative di vario tipo.
L’esistenza e lo sviluppo di un sistema efficiente di E-Government prevedono che tutta la Pubblica Amministrazione sia sostenuta da sistemi informativi consolidati ed efficienti e da un back office che consenta di interagire elettronicamente in maniera efficace con i “clienti”. Poiché si fondano su norme giuridiche è evidente, inoltre, che tali procedure informatiche sono soggette a insiemi di regole espresse, basate su disposizioni normative che siano sistematicamente applicate senza spazio per arbitrarietà.
L’E-Government rappresenta, quindi, dal punto di vista sociologico, uno di quegli elementi della società dell’informazione che si inseriscono nell’ambito delle teorie riguardanti la struttura e i cambiamenti sociali.
Per comprendere meglio l’importanza che il grado di sviluppo del governo elettronico ha avuto nell’ambito delle teorie della struttura sociale, è indispensabile qualche riflessione preventiva sui processi sociogenetici delle “organizzazioni sociali formali” come risposta ai problemi di coordinamento di determinate azioni collettive; perché, in fin dei conti, è a ciò che va ricondotta l’azione politica volta all’attuazione di un serio programma di E-Government.
Le “organizzazioni formali” sono nate in seguito a lunghi processi storici che hanno modellato la società contemporanea. Tali organizzazioni si distinguono da quelle strutture sociali dove le relazioni di base non trovano fondamento in un processo di regolazione bensì in un “meccanismo di controllo sociale ”[1].Quest’ultima distinzione mi sembra di importanza fondamentale per la comprensione delle modalità socio politiche di sviluppo dell’E-Gov, in considerazione della differenza tra l’auto-regolazione – tipica dei processi di puro controllo sociale – ed il processo di etero-regolazione che caratterizza il sistema della regolazione sociale delle organizzazioni formali. La distinzione assume rilievo in un contesto dove controllo e regolazione sono le forme procedurali principali attraverso cui l’azione collettiva viene coordinata e, per certi versi, controllata.
Riprendendo quanto evidenziato in precedenza, quindi, l’esistenza di un governo elettronico è fondata sulle necessarie procedure automatiche “vincolate” che vanno sistematicamente attuate, con esclusione di ogni intervento “personalizzato” ai fini della loro applicazione ad esigenze non codificate. Max Weber in periodo “non sospetto” parlò di “forma del dominio burocratico”[2] .
Da ciò l’emersione delle organizzazioni formali come modo per regolare l’azione collettiva.
Per azione collettiva, nell’ottica della società dell’informazione o, come è stata recentemente definita, della “network society”[3] , si intendono un insieme di comportamenti individuali che perseguono, in coordinamento, uno scopo comune. Non è solo questione della somma dei comportamenti di ognuno, ma delle attività che sono portate avanti dal gruppo ed in gruppo, da individui che comunicando tra loro si coordinano reciprocamente; si pone quindi l’accento sull’interazione tra i soggetti coinvolti e sulla “processualità e/o mutabilità di ogni azione collettiva”.
Il comportamento individuale dei singoli membri è quindi modificato dal comportamento del resto del gruppo ed il risultato del comportamento individuale può essere spiegato solo integrandolo nel gruppo: azione collettiva e divisione del lavoro sono pertanto due facce della stessa medaglia.
Mutuando la definizione weberiana di azione sociale si può parlare di una relazione tra due o più soggetti (individuali o collettivi) nella quale ogni soggetto modifica il suo comportamento in relazione a quello dell’altro, immaginando o anticipando la sua reazione. Tale relazione costituisce la base per l’azione collettiva[4].
Le organizzazioni formali, in quest’ottica, hanno la funzione di regolare questo processo relazionale indirizzando il comportamento individuale in funzione dello scopo collettivo.
Le organizzazioni formali, nascono con l’uomo ed acquisiscono caratteri sempre più complessi in funzione dell’evoluzione della struttura sociale ed a seguito della divisione del lavoro. Esse sopravvivono all’individuo e di norma, nonostante possano essere modificate, mantengono una certa stabilità.
La progettazione di una struttura formale è volta ad assicurare che i partecipanti alle attività del gruppo sociale si comportino nella maniera prevista per realizzare gli scopi programmati. Mediante la struttura dell’organizzazione formale si trasforma in routine il processo di successione e cioè l’insediarsi nel tempo di attori differenti nelle medesime cariche, cosicché una persona appositamente formata e con determinate caratteristiche può tranquillamente sostituirne un’altra all’interno della struttura senza che questa ne abbia a soffrire.
La struttura organizzativa formale costituisce un modello ufficiale che stabilisce attraverso quali compiti e procedure si deve svolgere l’attività organizzativa in modo da conseguire il fine prefissato[5].
Tale organizzazione nell’ambito dell’apparato amministrativo può essere definita “burocrazia” nell’accezione che al termine ha dato Weber e che rappresenta una forma di organizzazione che, pur presente in maniera imperfetta nelle società tradizionali, viene pienamente sviluppata nelle società moderne e negli apparati degli Stati nazionali.
A rendere così efficiente nel raggiungimento dei fini prestabiliti la burocrazia è la presenza di alcuni aspetti che, combinati tra di loro generano un sistema impersonale e stabile di norme di condotta che “vincolano” l’operato dei “burocrati”. Gli elementi maggiormente rappresentativi che la caratterizzano sono:
1. un sistema di norme e regolamenti espliciti che ne governano e disciplinano l’attività;
2. la rigida separazione dei poteri e delle funzioni di comando al suo interno;
3. la netta separazione gerarchica tra i poteri e tra le funzioni;
4. la scelta dei “burocrati” in funzione delle competenze tecniche accertate in modo estremamente formale.
Pertanto in una burocrazia intesa in senso classico le interazioni ed i rapporti di autorità interni sono chiaramente stabiliti e regolamentati.
L’organizzazione formale è quindi caratterizzata dalla suddivisione dei compiti e del potere tra i vari ruoli dell’organizzazione e dalle norme che dovrebbero regolare il comportamento dei membri dell’organizzazione, secondo quanto stabilito dalla leadership della stessa. Quando l’azione collettiva, riguardante un’organizzazione formale, riguarda un alto numero di individui spazialmente non contigui, essa è coordinata tramite regole scritte.
L’avvento dell’informatica ha però “sconvolto” la vita e le regole delle “organizzazioni formali”. Le architetture informatiche complesse devono, per definizione, contribuire a facilitare i compiti della burocrazia in funzione della velocità nell’elaborazione dei dati e delle potenzialità nel campo organizzativo e del workflow documentale.
Possiamo distinguere, a tal proposito, fra tre tipi di architetture informatiche:
a) sistema tradizionale essenzialmente rivolto alla funzione normativa caratterizzato dalla conoscenza a fini di potere; esso è verticistico e serve soprattutto a trasmettere circolari, ordini di servizio, regolamenti. Un sistema di questo genere, ovviamente, non permette elaborazioni periferiche dei dati e si rivolge a un’utenza passiva.
b) un sistema modellato sulle esigenze manageriali dell’impresa moderna, diretto non solo a trasmettere contenuti normativi, ma anche, e principalmente, a raccogliere informazioni dalla periferia al fine di adattare le performance del sistema stesso alle mutevoli condizioni del contesto;
c) un sistema emergente di tipo interattivo e aperto, tendenzialmente acefalo e costituito da una pluralità crescente di interlocutori decentrati, capaci di interagire tra loro, oltre che con le gerarchie del sistema.
Lo scopo finale dell’e-governement dovrebbe essere quello di fornire i mezzi per raggiungere tale interattività, creando una conoscenza diffusa che consenta di superare le classiche barriere strutturali, linguistiche e culturali tra la burocrazia ed il cittadino. L’informatica, quindi, non deve ostacolare il dialogo e la partecipazione ma deve favorirli ed integrarli.
Oggi il cambiamento si è radicalizzato, le competenze acquisite hanno una scadenza più breve rispetto al passato e si deve necessariamente ripensare il modo di lavorare. L’innovazione investe il mondo della burocrazia professionale ma anche quella meccanica che deve, di conseguenza, adeguarsi all’informatica e alla comunicazione elettronica.
Tutto ciò ci induce ad immaginare un funzionario della pubblica amministrazione immerso in una long life learning che lo porta ad un continuo confronto con se stesso e la propria cultura e che gli consente di utilizzare, adattandoli alle esigenze contingenti, gli strumenti forniti dall’informatica siano essi di tipo hardware che, in particolare, software. Allo stesso modo chi predispone i software per uso della pubblica amministrazione deve tener conto di una serie di problemi ed esigenze che la discrezionalità dell’azione amministrativa richiedono. Il momento dell’ingegnerizzazione del software è, infatti, essenziale per la sua efficacia ed efficienza: è efficace se consente di gestire con elasticità l’attività cui è preposto ed è immediatamente verificabile in termini di risoluzione dei problemi amministrativi e di un miglior servizio al cittadino, è efficiente se produce un vantaggio che si traduce nella diminuzione dei tempi del procedimento e in un effettivo risparmio dal punto di vista economico.
L’attività della pubblica amministrazione è, in realtà, molto complessa, per ragioni inerenti alla molteplicità degli interessi in gioco: da un lato vi è l’interesse “primario” dell’imparzialità, del buon andamento; in altri termini l’imparzialità assume caratteri specifici con riguardo all’attività amministrativa ed implica che la p. a. sia mossa dalla considerazione di tutti e soli gli interessi giuridicamente avvalorati, secondo criteri riconducibili ad un indirizzo politico coerente. Esige, dunque, la predeterminazione degli scopi e dei criteri dell’atto o dell’attività, l’obbligo di astensione del funzionario personalmente interessato e l’obbligo di parità di trattamento a condizioni pari. Il buon andamento, invece, richiede che vi sia una corrispondenza dei risultati diretti e indiretti allo scopo. Dall’altro punto di vista vi è l’interesse “secondario” dei privati cittadini che si pongono in relazione con la p. a. o perché “subiscono” la sua attività o perché ne richiedono dei servizi. Tutto ciò si traduce nella difficoltà di fornire uno strumento elettronico che risponda contemporaneamente ai seguenti requisiti:
1. rispetto della disciplina normativa che regolamenta la specifica attività cui il programma è preposto;
2. controllo e verifica dell’attività del pubblico impiegato che lo utilizza;
3. duttilità nella possibilità di adattare l’infinità casistica della vita reale alla rigida predeterminazione dell’algoritmo.
Per quanto riguarda il primo punto, appare evidente che lo strumento elettronico deve rappresentare un mero ausilio all’attività amministrativa e, quindi, in quanto tale deve essere strutturato in funzione di ciò che la legge ed i regolamenti prevedono in relazione all’attività amministrativa stessa. Se la norma prevede dei passaggi necessari perché si arrivi alla predisposizione di un particolare provvedimento amministrativo, è chiaro che il programma deve eseguirli puntualmente, avvisando e/o limitando le possibilità dell’operatore nello svolgimento della sua attività. Se, ad esempio, il procedimento di riconoscimento di un beneficio previdenziale prevede l’effettuazione di una visita presso le apposite commissioni mediche è chiaro che la predisposizione dell’atto conclusivo non può prescindere da questa e, di conseguenza, sarebbe del tutto giustificato che il programma limiti la possibilità dell’operatore nel condurlo a termine in assenza degli indispensabili requisiti richiesti.
In relazione al secondo punto ritengo necessario chiarire che esistono obblighi reciproci tra operatori della pubblica amministrazione e la dirigenza quale quello di non causare danni o pericoli ai beni e agli strumenti ad essi affidati, o di non utilizzare a fini privati materiali o attrezzature di cui dispongono per ragioni d’ufficio. Per contro la dirigenza deve informare specificamente i lavoratori circa attività permesse e vietate e rispettare il principio di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza nelle eventuali attività di controllo. Ciò premesso i concetti di controllo e verifica cui si fa riferimento riguardano fondamentalmente la capacità dell’algoritmo di verificare se l’operazione eseguita è congrua con le istruzioni ricevute e, in caso contrario, di avvertire l’utente affinché ricontrolli il proprio operato.
La duttilità è, infine, la peculiarità che deve caratterizzare la pubblica amministrazione in tutta la sua attività, con la conseguenza che anche i software utilizzati devono rispettare dei canoni di adattabilità e di elasticità che li rendano efficaci ed efficienti.
In definitiva i programmi di e-government mirano ad un’amministrazione moderna, trasparente e partecipativa, attraverso l’interoperabilità dei sistemi telematici, la riduzione del digital divide e la formazione di una categoria di pubblici amministratori, nonché di impiegati pubblici, competenti sia sul piano normativo che su quello tecnico informatico, sia su quello comunicativo che su quello più strettamente motivazionale.
Fino a questo punto sembra tutto perfettamente logico, ma qui si innesta quella che ho definito la “teoria del software legislatore”, che rappresenta, a mio avviso, un perfetto esempio di come la mentalità burocratica riesca a trasformare un’importantissima risorsa, quale l’utilizzo della telematica, in una fonte di ulteriori complicazioni ed inefficienze a scapito, ovviamente, dei cittadini.
Diceva Weber che ogni potere, se esercitato in modo continuativo, richiede di essere legittimato; egli elenca tre forme di legittimazione: il carisma, che si basa su qualità eccezionali e a volte sovraumane che i seguaci attribuiscono a un capo; il potere tradizionale burocratico, che fonda la sua legittimità sulla tradizione, sul precedente, su ciò che si è sempre fatto in base a norme immutabili; il potere legale razionale trae linfa da un ordinamento giuridico condiviso e ispirato a criteri astratti ed uguali per tutti.
Negli anni 30 Merton, criticando il modello weberiano di burocrazia, pose l’accento sul fatto che la formazione professionale dei funzionari poteva non essere adeguata e parlò di” incapacità addestrata” sia quando le azioni basate sull’addestramento e l’abilità tecnica possono risultare inappropriate in presenta di mutate condizioni, sia quando la realtà muta e sorgono problemi inediti che rendono l’addestramento troppo specifico del funzionario carente di duttilità nell’applicazione delle norme, con il mancato conseguimento degli scopi prefissati[6].
Gouldner mirava ad un modello duale che si divide in burocrazia basata sul principio di competenza e burocrazia basata sul principio di disciplina. Nella maggior parte delle burocrazie -, sosteneva il sociologo – ci sono lavori di elevata professionalità con un principio di competenza istituzionalmente riconosciuto come superiore a quello di disciplina, e lavori di scarso livello professionale con il principio di disciplina che sovrasta quello di competenza[7].
Herbert Simon – seguendo le orme tracciate da Chester Barnard [8]– sosteneva che le decisioni sono prese dalla burocrazia sulla base di criteri di razionalità limitata. Tale concetto sancisce la continuità della condizione umana dalle organizzazioni più complesse e formali alla sfera più intima e privata, a seconda delle situazioni cambiano gli strumenti di supporto e le procedure per prendere decisioni ma non cambia il fatto che qualunque decisione, sia pubblica che privata, è presa scontando l’impossibilità di una razionalità assoluta. Per Simon l’oggetto dell’analisi organizzativa per eccellenza non è il ruolo ma la decisione, che è un’unità di analisi molto più piccola e sottile di quella di ruolo[9].
Michel Crozier, infine, sostiene l’importanza dell’azione dei soggetti all’interno delle organizzazioni. Secondo quest’autore è limitata sia l’ottica dei dipendenti esecutori di ordini sia quella delle relazioni umane che sottolineano l’emotività delle persone, mentre è importante considerare che le persone possono pensare, progettare e fare scelte che l’organizzazione non può prevedere. I soggetti sono capaci di sviluppare strategie, negoziando così la loro partecipazione e cercando di tutelare i propri interessi. Ciò rende possibile che si inneschino dei circoli viziosi ossia dei processi degenerativi che producono disfunzionalità nelle organizzazioni. Un concetto connesso a quelli di strategia e di circolo vizioso è quello di potere, che si può definire come la capacità di controllare i margini di incertezza presenti nelle relazioni con gli altri individui[10].
Tutte queste teorie hanno in comune una concezione di potere come di un meccanismo che permea ogni comportamento amministrativo ad ogni livello, sia che si tratti di “gestire il potere” che di “subire un potere”. Il dirigente pubblico e, proseguendo nella scala gerarchica il funzionario e l’impiegato, sono stretti nella morsa tra il “subire il potere” del superiore che pone limiti o libertà ulteriori rispetto a quelli previsti dalla norma e la “gestione del potere” nei confronti dei collaboratori o dell’utenza. Nella “gabbia d’acciaio” teorizzata da Weber, essendo la burocrazia rigidamente vincolata, tale margine è molto ristretto e la morsa si stringe, nella concezione mertoniana la morsa si stringe dal lato passivo del subire il potere mentre si allarga dall’altro, in quanto l’incapacità di affrontare le novità limita la gestione del potere. In Goulder e in Simon, anche se affrontati in modo diverso, assumono rilevanza fondamentale il ruolo e la capacità decisionale la cui prevalenza fa oscillare il pendolo in misura più o meno marcata verso l’uno o l’altro estremo della morsa. In Crozier, invece, che è il più moderno ed efficace teorico della burocrazia contemporanea, la dinamica tra il subire o gestire il potere è rappresentata da una continua tensione tra la capacità di governare l’incertezza del comportamento umano e l’influenza che gli elementi esterni possono avere su di esso; la gestione e la soggezione al potere si intrecciano in un continuum che, senza soluzione di continuità, portano il burocrate ad essere allo stesso tempo vittima e carnefice. Questo rapporto dialettico è sicuramente quello che maggiormente rappresenta l’idealtipo del burocrate contemporaneo, vincolato da mille normative schizofreniche spesso in aperta contraddizione tra loro, soggetto a pressioni dalle alte gerarchie politiche e/o amministrative, costretto ad adeguarsi a tecnologie che non fanno parte del proprio background culturale, obbligato ad una rigidità che poco si adatta alla “società liquida” in cui vive ma, allo stesso tempo, iperspecializzato, a volte titolare di conoscenze esclusive che gli attribuiscono un potere spesso usato a danno degli altri ed a proprio vantaggio.
Tutto ciò provoca una “dissonanza cognitiva” che può incidere sulla sua psiche in vari modi, portando il burocrate a rappresentare gli estremi della massima espressione della “banalità del male” il cui prototipo è Otto Adolf Eichmann e la sua incredibile capacità, obbedendo ad ordini superiori, di gestire burocraticamente in maniera perfetta il genocidio dei campi di concentramento nazisti; oppure può produrre il grand commis che, forte di competenze, legami di potere e scambio di favori, fa del suo essere burocrate il mezzo per escludere o per ammettere al godimento dei benefici, la cui concessione dipende dalla sua attività, chi ritiene opportuno anche nell’ottica dell’ulteriore incremento del proprio potere.
In ogni caso il fenomeno che si evidenzia in modo molto marcato nell’esame della burocrazia è quello della “spersonalizzazione” del burocrate anche se non inteso in senso weberiano di garanzia di imparzialità bensì come tendenza a proteggere sé stessa e il proprio potere; a scaricare verso l’alto ogni responsabilità; a reprimere tutte le azioni che, anziché allo scopo, sono indirizzate ai valori e conseguentemente a favorire processi di secolarizzazione della vita, a rifiutare ogni forma di innovazione che possa modificare il suo modo di lavorare acquisito negli anni ed anzi, per ignoranza o per arroganza, utilizzare la tecnologia per complicare ancora di più la vita al cittadino. Tutto ciò si riflette soprattutto sul piano dello stile comunicativo che, in conformità col carattere impersonale della pubblica amministrazione, passa dall’impersonale (“si chiede …”, “con la presente si comunica che…”), al passivo (“la Sua richiesta è stata respinta”), ed a quelle nominalizzazioni che sono funzionali, oltre alla condensazione sintattica, all’oscuramento dell’agente delle azioni rappresentate. La presenza di connettivi arcaici, o comunque di scarso uso nella lingua comune (altresì, allorquando, ivi, ove, all’uopo, nonché, ovvero), enclisi (partecipasi, comunicasi), verbi fraseologici (dare comunicazione, dare inizio, trovare applicazione, essere a conoscenza, portare a conclusione) e tutto il piano lessicale puntano alla complessità: se per esprimere una stessa nozione, con lo stesso grado contestuale di precisione, esistono due parole, una comune e una più rara, la tendenza del linguaggio burocratico sarà sempre quella di propendere per la parola più rara.
Il concetto, così inteso, di spersonalizzazione induce il burocrate a rifiutare ogni forma di empatia con l’utente, come se lui stesso non fosse mai stato dall’altra parte e non avesse mai subito la frustrazione di essere trattato come un numero dell’eliminacode piuttosto che come un essere umano. La regola fondamentale è il rispetto delle regole, tutta l’attività non usa le regole come mezzo ma come fine; quello che Merton chiamava “ritualismo” nella nostra società ha toccato vette mai sfiorate ed a ciò ha sicuramente contribuito la diffusione della tecnologia informatica in un contesto umano e psicologico che – in un approccio sistemico che mira ad una “riduzione delle complessità” che paradossalmente si fonda su un aumento delle stesse – ha scaricato sull’utente l’ignoranza, le frustrazioni e tutte le dissonanze tipiche dell’essere burocrati.
Il sistema informatico, il software, la telematica, la Rete diventano allora dei mostri con cui combattere giornalmente, non tanto al fine di comprenderne l’essenza e cioè l’essere al servizio del burocrate che a sua volta è al servizio del cittadino, ma solo per capirne l’utilizzo immediato. Nel far ciò avviene qualcosa che in apparenza è perfettamente logico, in relazione all’analisi della burocrazia che si è appena fatta, e cioè si piega l’informatica alla logica burocratica adeguandola a tutte quelle peculiarità che la caratterizzano. Il “programma informatico”, o meglio, il computer diventa legislatore, imponendo con la sua muta freddezza le regole da applicare al procedimento amministrativo, l’algoritmo prende il posto del buon senso ed il piccolo travet di turno deve piegarsi alla logica spietata del computer. In tutto ciò giocano alcuni fattori fondamentali legati alle caratteristiche intrinseche all’essere inserito in una catena burocratica che non dà scampo e che ho già descritto in precedenza seppur in contesti diversi: l’incapacità di gestire il cambiamento, la rigidità mentale, che, unita alla routine, da un senso di sicurezza, l’incapacità di provare empatia verso i problemi degli “altri cittadini”, la “spersonalizzazione” intesa in senso ampio, o, viceversa, l’arroganza del potere e la sua gestione clientelare o corrotta.
Adesso è la macchina che detta la legge e non è l’uomo che la gestisce: a tutti è capitato di sentirsi dire: “il computer non mi permette di fare l’operazione”, oppure, “il sistema non riconosce i dati inseriti” ed ancora “lo so che il diritto le è riconosciuto dalla legge ma il sistema non lo accetta quindi non può fruirne”. L’informatica si trasforma in Hal 9000, il calcolatore della nave spaziale Discovery in “2001 odissea nello spazio”, ma, a differenza degli astronauti del film che tentano di ribellarsi, il burocrate moderno vi si adatta e percepisce la cogenza di una norma giuridica solo in presenza di un software che la applichi letteralmente. Il sistema informatico, in definitiva, prende il posto del legislatore, della Gazzetta Ufficiale e delle circolari.
Da alcune ricerche che ho effettuato nel 2010[11] è venuta fuori una situazione che sembra dimostrare in modo palese tale teoria; in quell’occasione ho analizzato tutta una serie di situazioni problematiche e rappresentative della situazione attuale. Il fenomeno delle “cartelle pazze” ne rappresenta un esempio molto rappresentativo: più di una volta, dal Ministero delle Finanze, sono partite milioni di cartelle esattoriali errate, perché riferite a cartelle mai notificate, a debiti prescritti o nulli, a tributi o multe già pagati o condonati, ad atti esecutivi già annullati a seguito di ricorsi o di sgravi ed ai crediti non riscossi nei termini e senz’avviso di intimazione. Questo inconveniente è sorto per i tentativi dell’Amministrazione Finanziaria di procedere alla modernizzazione e all’informatizzazione del servizio del sistema fiscale italiano, in quelle occasioni tutti coloro che all’agenzia delle entrate trattavano l’argomento erano perfettamente a conoscenza che si trattava per lo più di cartelle illegittime o nulle ma, poiché il sistema era informatizzato (quindi, secondo la teoria suddetta, al di sopra della stessa normativa ufficiale), nessuno mosse un dito per bloccare le procedure di riscossione, con incredibili disagi ai contribuenti.
I meccanismi del “software legislatore” vengono addirittura amplificati quando si richiede al cittadino di svolgere attività direttamente in Rete, senza predisporre mezzi adatti per il superamento del digital divide o un passaggio graduale ai nuovi sistemi. Chi non ha un telefono o una casella di posta elettronica in alcuni casi viene, di fatto, escluso dal godimento di benefici cui avrebbe diritto, per il solo motivo che non può completare il format di richiesta previsto on line e che pretende, per poter proseguire, l’indicazione necessaria di questi dati.
In conclusione rimane ancora attuale l’affermazione di qualche anno fa di Stefano Rodotà, l’illustre giurista sostenne che quella che governa l’Italia, impregnata di pseudo-liberismo, è una coalizione politicamente e culturalmente antitetica all’e-government, visto come una contraddizione rispetto allo spirito autoritario che ne anima l’azione. Orbene è evidente che il governo elettronico si crea sfruttando in modo coordinato le numerose opportunità che le tecnologie informatiche offrono, la sua realizzazione comporta cambiamenti importanti nella relazione amministrazione-cittadini, ciò a patto che le nuove tecnologie siano utilizzate in maniera proficua.
Come tutti i cambiamenti, inoltre, anche questo porta vantaggi e svantaggi e in ogni cambiamento qualcosa inevitabilmente si perde. Ho sempre sostenuto, nella mia carriera di funzionario pubblico e di cultore della sociologia del diritto, che i vantaggi, per l’amministrazione così come per i cittadini, paiono tali da auspicare un’azione decisa nella direzione del cambiamento in considerazione degli obiettivi finali a cui potrà portare questo processo di innovazione. Innanzi tutto per i cittadini, perché l’attività dell’Amministrazione è ad essi finalizzata, ma anche perché, delineando nuove possibilità, si possono cominciare ad intravedere delle linee di un mutamento organizzativo della PA. Il cittadino, che le amministrazioni si trovano di fronte, è un cittadino nuovo, che interroga, che interviene, che si organizza, ed è quindi il maggior responsabile del processo di cambiamento in atto: “grazie alle nuove tecnologie della comunicazione è stato certamente avviato un processo di ‘liberazione’ del sovrano da una serie di vincoli di spazio e di tempo che ha avuto (e potrà avere) l’effetto di realizzare condizioni di indipendenza da apparati, da quelli burocratici in primo luogo”[12].
In effetti, proprio il superamento dei vincoli spazio-temporali tradizionali è segnalato come una delle conseguenze principali dei media elettronici. Il superamento di tali vincoli è di fatto uno dei problemi fondamentali nei rapporti telematici con il cittadino. Solo un’accorta politica della comunicazione riesce ad attenuare le non indifferenti conseguenze dovute alla mancanza di un rapporto de visu. Joshua Meyrowitz, indagando questo aspetto, ha affermato che “se molte informazioni sociali sono ancora accessibili solo recandosi in determinati luoghi o interagendo con gli individui in incontri faccia a faccia, i recenti cambiamenti nei mezzi di comunicazione hanno parecchio indebolito il rapporto, un tempo armonioso, tra l’accesso all’informazione e l’accesso ai luoghi”[13].
La perdita del senso del luogo e quindi della necessità di recarsi negli uffici, porta con sé però anche una forma di controllo diffuso sull’Amministrazione, la quale, di conseguenza, è costretta a perdere quell’aura di autorità che la caratterizza: “i nuovi modelli di flusso informativo influiscono innanzitutto sui ruoli sociali di tipo gerarchico. La perdita di controllo informativo compromette l’esistenza delle tradizionali figure autoritarie”. Questa perdita di autorità può essere, per l’Amministrazione, l’occasione per mutare completamente la sua fisionomia, ottenendone in cambio una nuova legittimazione presso la società. Non più rapporto tra autorità e soggezione ma solo relazione tra chi eroga un servizio e chi ne è destinatario e ciò sembra possibile anche mediante un rapporto meramente telematico, quando però questo sia frutto di un uso intelligente e competente degli strumenti che la tecnologia mette a disposizione.
In caso contrario c’è solo frustrazione per il cittadino ed inefficienza della PA.

Giuseppe Motta

note bibliografiche

[1] Cfr. Cesareo, V., Socializzazione e controllo sociale, F. Angeli, 1979.

[2] Weber M., Economia e società, Donzelli ed.2003

[3] Cfr. Van Dijk J., The network society, 2^ ed. SAGE Ldt. 2006

[4] Daher L. M., Azione collettiva – teorie e problemi, Franco Angeli 2002.

[5] Cesareo V., a cura di, Sociologia: concetti e tematiche, ed. Vita e pensiero, 1998

[6] Merton R.K. (1949, 1° ed.), Social Theory and Social Structure, Free Press, Glengoe (tr. It., Teoria e struttura sociale, il Mulino, Bologna, 1966, 2° ed.)

[7] Gouldner, A., Modelli di burocrazia industriale, ETAS KOMPASS, Milano, 1970 (prima edizione americana 1954)

[8] Barnard C., le funzioni del dirigente, a cura di Piero Bontadini ; introduzione di Franco Ferrarotti.: 1968. – XIX, U.T.E.T Torino

[9] Simon H., Il comportamento amministrativo, Il Mulino, Bologna, 1958.

[10] Crozier M., il fenomeno burocratico, ETAS, Milano, 1978

[11] Motta G., luci ed ombre dell’E-government: dalla parte del cittadino, 2010, pubblicato su www.giuseppemotta.it

[12] Vita V., “Il tempo nel governo in rete e nella pratica democratica”, in De Kerckhove D., La conquista del tempo, Editori Riuniti, 2003

[13] Meyrowitz, J., Oltre il senso del luogo, Baskerville, 1993

4 pensieri su “la e-burocracy e la teoria del “software legislatore”

  1. approfondimento molto interessente. i permetto di segnalare tre aspetti che potranno formare oggetto di riflessione.
    1) La P.A. così come le grosse catene commerciali stanno attuando un sistema relazionale basato non sull’effettivo soddisfo personale ma sul concetto, più generale, di soddisfazione collettiva. Cioè un criterio generale, e non sempre effettivamente efficente, che ha lo scopo di definire funzionale un sistema nel suo complesso e non nelle sua reale e particolare applicazione.
    2) Il sistema informatico tende a semplificare l’attività ma non a risolvere i problemi, tutt’altro!
    Purtroppo esso deve ( si ribadisce: deve) consentire a tutti l’operatività manon tutti sono in grado ( per incapacità o indolenza) di utilizzare i vari sistemi informatici., tuttavia il meccanismo prescinde da tali “intoppi” e, come se non li considerasse, va avanti lo stesso perchè comunque il meccanismo deve andare avanti. Per usare una similitudine a me cara penso al fatto che tutti ( o quasi) abbiano la patente di guida ma non tutti hanno l’abilità di guida; orbene il sistema prescinde dalle capacità personali e consente a tutti di potere” guidare”. Parimenti la P.A. consente a tutti di utilizzare i sistemi informatici ( anzi obbliga) ma prescinde dalla effettiva capacità. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti!
    3) la spersonalizzazione del sistema informatico e della burocrazia in generale stride fortemente con i comportamenti dei burocrati più influenti ( boiardi) che influenzano in modo sempre più marcato le scelte che dovrebbero essere di competenza politica. Tale fenomeno è, paradossalmente, più evidente in un momento in cui la politica ( da oltre un ventennio) è preda di forti personalismi in cui “l’uomo forte” sembra assumere una rilevanza che in passato ( prima repubblica) non aveva mai avuto. Tale “forte” presenza invece di esercitare ( come appare dagli spot) un effettivo controllo sull’apparato finisce per subirne i rallentamenti o le aaccelerazioni e più in generale le “scelte”.!

    1. condivido in pieno le osservazioni, per quanto riguarda, in particolare, la prima mi permetto di invitarti a leggere il mio precedente articolo “e la burocrazia nelle aziende private?” in cui tratto diffusamente il problema.

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