Le “fallacie” logico-argomentative nel linguaggio politico

di Giuseppe Motta

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Aristotele

“…quasi ogni proposizione della ontologia metafisica è chiacchiera insensata – essendo ogni parola definita da altre e queste da altre ancora, senza che si approdi mai ad un concetto reale – oppure mere assurdità; sicchè fatta piazza pulita di tanta robaccia, ciò che della filosofia rimane è una serie di problemi suscettibili di indagine mediante i metodi di osservazione propri delle vere scienze…

(Charles Sander Peirce )

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Premessa

Non andrò agli stati generali perché è un’inutile sfilata, noi siamo pagati per fare proposte di legge e lavorare in Parlamento!”. Questa è la frase pronunciata da un noto politico italiano in relazione all’invito a partecipare agli “stati generali” programmati dal Presidente del Consiglio dei Ministri – fra rappresentanti del governo, dell’opposizione parlamentare (che ha rifiutato definendola una inutile “sfilata”), rappresentanti delle parti e alcuni intellettuali – per definire in modo condiviso, le linee di intervento economico per il rilancio del paese dopo la crisi causata dalla pandemia di Covid-19. Tutti l’abbiamo sentita in televisione o letta sui giornali e sui social; la frase è apparentemente corretta sia da un punto di vista della logica argomentativa, che da quello dell’appeal emotivo. A prescindere da come la si pensi politicamente, la prima cosa che viene in mente è infatti la coerenza nel ritenere più corretto lavorare per il bene degli italiani, cosa per la quale i politici sono, peraltro, pagati profumatamente, piuttosto che perdere tempo in manifestazioni di finta democrazia che hanno un mero scopo propagandistico per il Presidente del Consiglio e ritardano il rilancio dell’economia. Chi è abituato ad una visione critica della realtà ed alla contestualizzazione di ogni fenomeno, non può però non provare un senso di disagio, che si comprende solo dopo un’analisi attenta del contenuto della frase e del contesto in cui è pronunciata. Infatti, chi parla è un senatore che brilla per le assenze in Senato (circa il 90%) e che, nel momento in cui pronuncia la frase citata si trovava in giro per l’Italia per un tour (sfilata?) elettorale (anche se non vi sono elezioni in tempi brevi). Il disagio è quindi determinato, non tanto dal fatto che sia stata detta una cosa errata, anzi è estremamente corretto affermare che i politici sono pagati per lavorare a vantaggio della comunità, ma dalla netta contraddizione tra quanto affermato e il comportamento di segno opposto di chi fa l’affermazione.

A questo punto chi è abituato a vedere in chiave di pregiudizi politici tutto ciò che legge avrà già abbandonato la lettura di questo breve saggio, ritenendolo politicamente schierato (in genere sui social ci si ferma al titolo), ma è giusto che sappia che quello riportato è solo l’esempio più recente fornito dalla cronaca per far comprendere il senso dell’argomento trattato e cioè come ciò che sembra apparentemente corretto possa essere falsato da una fallacia argomentativa che rende il ragionamento illogico. Di questi esempi ne troverà tanti e colpiscono indifferentemente la Destra e la Sinistra, perché l’uso delle fallacie logiche è ormai diventato l’argomento centrale del dibattito politico, che si caratterizza per l’uso distorto della logica e per una connotazione prettamente emotiva dei ragionamenti.

In tal modo si sviluppano le post verità.

L’attuale sistema dell’informazione sembra essere caratterizzato a livello strutturale dal fenomeno delle cosiddette post-verità; cioè un modo di rapportarsi alle informazioni e alle notizie senza che venga posta alcuna attenzione alla loro attendibilità; queste sarebbero percepite esclusivamente su base emotiva e totalmente acritica[1]. Quello che manca nella post verità è, dunque, il pensiero logico, che aiuta a distinguere, in un’informazione, in una notizia o in un qualsiasi ragionamento, ciò che è vero, da ciò che è semplicemente verosimile o assolutamente falso. Tali distinzioni però necessitano di alcune precisazioni metodologiche che aiutano a comprendere meglio il problema, senza la presunzione e l’arroganza di pensare di essere depositari della Verità, che non è mai assoluta ed è comunque un concetto astratto, a differenza del Vero che è un concetto reale e concreto ed è distinguibile dal falso o dal verosimile attraverso il ragionamento logico.

Il ragionamento logico è il processo cognitivo attraverso il quale, partendo da determinate premesse e facendo uso di procedimenti logici si giunge ad una conclusione.

Le tecniche attraverso cui si procede nel ragionamento logico sono le “argomentazioni”, mediante le quali si tende a dimostrare che, date determinate premesse, una conclusione è vera o falsa. Un’argomentazione consiste in una sequenza di proposizioni logiche di cui una è intesa come conclusione che scaturisce dalle altre, e che, a sua volta, diventa premessa per altre argomentazioni. Sia le premesse che la conclusione sono asserzioni e possono essere vere o false. In altri termini ragionare significa inferire conclusioni a partire da ciò che si reputa vero e farlo secondo leggi o regole che disciplinano la validità di tali procedimenti deduttivi. Dire che un’inferenza è valida, però, non significa dire che la sua conclusione debba essere necessariamente vera, ma solo che è stata raggiunta in modo deduttivamente corretto; di conseguenza, le nozioni di validità/invalidità e di verità/falsità vanno tenute sempre distinte, in quanto: le prime hanno a che vedere con la correttezza deduttiva delle regole d’inferenza impiegate, le seconde con lo status delle premesse e della conclusione in quanto tali[2].

Il ragionamento può essere basato su una logica di tipo deduttivo, induttivo o abduttivo.

Un ragionamento viene detto deduttivo, quando, conoscendo le premesse e le leggi che regolano un fenomeno, si giunge ad una conclusione logica in linea con le premesse date, dunque, dal generale al particolare. Questa è la logica Aristotelica, il cosiddetto sillogismo e si verifica quando si ottengono dei risultati applicando delle leggi conosciute. Se tutte le operazioni previste sono state svolte correttamente, e le premesse sono vere, anche le conclusioni saranno vere, ma così ragionando sarebbe impossibile giungere alla scoperta di novità, perché la conclusione è già implicita nelle premesse. Esempio classico di logica deduttiva si può rilevare nel famosissimo sillogismo aristotelico in base al quale: “Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è un uomo; dunque, Socrate è mortale”. Nella logica deduttiva l’inferenza è valida anche se le premesse e la conclusione o una delle due sono false.

Un ragionamento è invece induttivo quando, conoscendo le premesse e i risultati del ragionamento, si intende ricostruire le regole che lo consentono. In un ragionamento induttivo tutte le ipotesi di partenza del ragionamento, dalle quali viene ricavata la conclusione, sono specifiche e particolari, mentre la conclusione è formulata in termini universali. Le regole che si ottengono in tal modo non sono mai sicure in assoluto, ma solo probabili. In questo caso si va dal particolare al generale e la conclusione può essere falsa pur essendo vere tutte le premesse. Un esempio di ragionamento induttivo è il seguente sillogismo: Il sito web di una nota agenzia di stampa ha dato una notizia che poi è risultata non vera, un mio amico mi ha detto che anche un’altra notizia era falsa, quindi, tutte le notizie di quell’agenzia sono false.

Infine, un ragionamento viene considerato abduttivo, quando, conoscendo le regole e i risultati, si prova a ricostruirne le premesse. Questa è la classica logica dell’investigatore che deve ricostruire una situazione iniziale, conoscendo il risultato ottenuto per effetto di un nesso causale basato su una legge scientifica o probabilistica, ricostruzione che, ovviamente, non è mai certa ma è valida solo con un dato livello di probabilità. Esempi di ragionamento abduttivo si possono trovare in giochi come il master mind e la battaglia navale.

Nella risoluzione di problemi complessi non è sufficiente ricorrere ad un solo tipo di ragionamento logico. Infatti, per considerare se determinate ipotesi scaturite da ragionamenti induttivi o abduttivi possono essere considerate attendibili, è necessario sottoporle a controlli di tipo deduttivo o mediante i tentativi di falsificazione.

Il ragionamento logico, di norma, rappresenta la base di ogni rappresentazione del pensiero, sia politico che filosofico o anche semplicemente in una discussione informale. Spesso però tale ragionamento è viziato da alcuni “errori logici di procedura” che vengono chiamati “fallacie argomentative o logiche”, alcune volte volute ed utilizzate come artifici retorici, altre inconsapevoli e frutto di pregiudizi o ingenuità. E sono queste che andremo ad analizzare nelle forme più diffuse e nei vari contesti in cui vengono rappresentate (nei social, nei dibattiti politici, nell’informazione, ecc.).

Il problema logico delle “fallacie”

Le “fallacie” sono riportate in tutti i trattati di logica, di linguistica o di psicologia e sono tutte codificate con varie classificazioni, che vedremo, e sono, almeno in apparenza, immediatamente riconoscibili come tali[3]. Ma vediamo nello specifico che cosa sono le “fallacie”.

La teoria delle “fallacie” risale ad Aristotele[4], che elenca tredici fallacie in cui è possibile incorrere nel contesto della discussione critica. Questo elenco è stato nei successivi due millenni rivisitato ed ampliato ma, nella sostanza, è rimasto invariato. Lo stagirita vedeva nella deduzione sillogistica l’unica forma corretta di ragionamento e nelle “fallacie”, invece, forme di argomentazioni che, pur sembrando sillogismi, in realtà non lo sono; in questi ultimi casi l’intuizione suggerisce che il ragionamento sia apparentemente corretto, ma una più attenta analisi dimostra che esso è effettivamente erroneo. Ad esse ne vennero aggiunte altre quattro, in epoca moderna, da John Locke nel Saggio sull’intelligenza umana[5]. Locke, come Aristotele, ha in mente un contesto dialettico o retorico, le quattro forme di argomentazioni infatti sono, per Locke, quelle “che gli uomini, ragionando tra loro, ordinariamente usano per ottenere l’assenso di altri, o, quantomeno, per intimidirli e tacitare la loro opposizione”.

Ma che cosa è una “fallacia”?

In termini strettamente tecnici è un errore nel ragionamento o nella sua argomentazione che appare “psicologicamente persuasivo”. Tale nozione è caratterizzata da due aspetti inscindibili e peculiari: il sembrare qualcosa che non è, e l’avere una qualche forma di erroneità, o scorrettezza logica che la invalida. Per poter analizzare le “fallacie” occorre preliminarmente distinguere il problema della loro origine, quello cioè che le rende un errore logico, da quello della loro portata, che riguarda invece le conseguenze che l’errore ha in determinati contesti. In relazione all’origine serve solo distinguere quegli elementi del contesto che caratterizzano come fallace l’argomentazione a prescindere dagli effetti di “contesto”; la “portata”, invece, va contestualizzata perché potrebbe avere effetti diversi in contesti diversi. Lo studio della portata delle “fallacie” nel contesto della discussione critica ha senso per tutte le “fallacie”, viceversa non è così per la ricerca dell’origine che può non avere alcuna rilevanza ai fini della circostanza cui si riferisce. Vi sono tuttavia “fallacie” che sono riconducibili a forme argomentative che sono corrette in certi contesti ma non in altri, vi sono “fallacie”, infine, che riescono false in quasi tutti i contesti in cui esse hanno luogo. Di norma, guardare alla forma logica appare necessario per ragionare e per potere concepire delle argomentazioni convincenti; tuttavia, la logica non sempre è sufficiente e argomentare in senso lato ha una portata più ampia di quella prettamente formale. Inoltre, la forma logica non è quasi mai l’unica ragione per cui qualcuno crede a ciò che gli viene detto, spesso la validità di un ragionamento è fondato sulla semplice accettabilità teorica argomentativa e sulla capacità persuasiva dell’interlocutore al di là del suo rigore logico.

Le più importanti condizioni perché un argomento sia logico e coerente si possono riassumere in cinque punti, per comprendere i quali è necessario premettere una distinzione tra il significato di “argomento” e quello di “argomentazione”: il primo è una forma generale di ragionamento formale o informale che prova o dimostra una certa proposizione, in quanto deve condurre ad una conclusione che sia o vera o, quanto meno, altamente probabile; mentre la seconda è un insieme di asserzioni concrete dichiarate in un contesto che possono essere false anche se poste in maniera efficace, in questi termini appare evidente come le regole per una buona argomentazione sono diverse da quelle di un buon argomento. Per esempio, una buona argomentazione deve essere persuasiva, in quanto deve convincere l’interlocutore, mentre un buon argomento deve essere vero e pertinente anche se non necessariamente persuasivo, tanto che frequentemente – nei talk show televisivi – tra un buon argomento ed una cattiva argomentazione vince la seconda solo per la sua persuasività. Ma quest’ultima è una caratteristica molto rischiosa, la persuasività, infatti, è un carattere delle argomentazioni che in sé non può essere autonoma rispetto alla fondatezza, alla validità deduttiva, alla forza induttiva ed alla complessità abduttiva. Un’argomentazione persuasiva può convincere anche se trasgredisce le leggi della logica muovendo da premesse false o irrilevanti rispetto alle tesi da rappresentare. Il carattere della persuasività è dunque quello più pericoloso e, spesso, fa passare per buoni i ragionamenti fallaci[6].

Tornando alle condizioni perché un argomento sia logico e conduca a conclusioni vere o altamente probabili, esse sono, come si è detto, cinque:

  1. La verità delle premesse, che è la condizione più importante per la bontà di un argomento e che non è mai negoziabile;
  2. il grado di pertinenza delle premesse medesime, che è fondamentale per dare forza argomentativa ad un ragionamento. Un ragionamento che abbia delle premesse non pertinenti può anche essere vero, ma crea una dissonanza interna al ragionamento stesso, tale da far venire meno l’interesse per la verità argomentata. Di conseguenza l’argomento deve essere vero ma le premesse devono sostenerne in modo considerevole e pertinente le conclusioni.
  3. l’eventuale vulnerabilità della conclusione. Non deve essere possibile, quindi, confutarla con un altro argomento valido ma deve essere incontrovertibile.
  4. la presenza di un numero minimo indispensabile dei passi deduttivi, ogni argomentazione in più non necessaria rende l’argomento più di difficile comprensione.
  5. le connessioni strutturali tra premesse, procedimento e conclusioni. Poiché un argomento si basa su un procedimento che collega le premesse con la conclusione, è indispensabile che esso sia logico, consequenziale e coerente. Premesse mal collegate alle conclusioni rendono un argomento molto debole.

Fatte queste doverose premesse si può affermare che lo studio delle “fallacie” è molto interessante per tre ordini di ragioni. Una prima ragione consiste nel fatto che conoscere le fallacie di ragionamento aumenta la probabilità di evitarle; una seconda non meno importante ragione fa sì che la conoscenza delle “fallacie logiche” consenta di capire i motivi per cui un argomento è debole oppure no e quindi, se opportuno, non utilizzarlo o, se proposto da altri, contrapporvene un altro più forte; la terza ragione si basa sul fatto che la loro conoscenza contribuisce alla formazione del pensiero critico – argomento tanto, troppo, trascurato nell’istruzione contemporanea – capace di individuare e giudicare adeguatamente le tesi proposte quotidianamente nei molteplici aspetti della vita sociale.

Le classificazioni delle “fallacie”

Una prima classificazione delle “fallacie” si può fare in quattro grandi gruppi che si differenziano per la tipologia di errore argomentativo.

Un primo gruppo riguarda le “fallacie” relative alle ambiguità linguistiche, che si basano sulle confusioni che genera la lingua parlata; poi ci sono le “fallacie” di manipolazione della realtà, per mezzo delle quali si rappresenta la realtà in modo parziale, iperbolico, distorto o del tutto falso; Le “fallacie” di diversione, invece, sono quelle in cui le premesse sono irrilevanti rispetto alle conclusioni oppure quelle in cui si sposta il fulcro del discorso su questioni non pertinenti o secondarie; infine ci sono le “fallacie” formali quelle cioè che violano le regole della logica[7].

Cominciamo dalle più semplici, le “fallacie” linguistiche, dove l’errore è dovuto ad un uso improprio o impreciso del linguaggio. La trappola concettuale, in questo caso, scaturisce da un’insufficiente chiarezza terminologica che determina dei “pasticci linguistici”. Le più diffuse “fallacie” linguistiche sono:

  1. l’Anfibolia, che si manifesta quando la costruzione linguistica di un enunciato consente due diverse interpretazioni. Ad esempio, si immagini un articolo di un quotidiano che inizi così: Ieri mattina un pirata della strada ha travolto un ragazzo alla guida di uno scooter. Da un punto di vista grammaticale, “alla guida di uno scooter” è una locuzione avverbiale attribuibile sia al pirata della strada, sia al ragazzo. Di qui nasce l’ambiguità del significato. Questa fallacia può essere evitare isolando il termine che è ambiguo al fine di chiarirne il significato nel contesto della frase.
  2. L’Accento, che si ha quando, ponendo l’accento su un termine particolare di un enunciato, si suggerisce un’interpretazione dell’enunciato stesso diversa da quella letterale. Un esempio in una discussione può essere quello in cui si dice di un’altra persona di cui si vuol porre in evidenza la poca lucidità: “oggi nel tuo discorso mi sei sembrato sobrio”, con ciò alludendo indirettamente che di norma l’interlocutore sia ubriaco e, quindi, poco lucido, cosa che potrebbe essere vera, ma anche falsa ed avere lo scopo di screditarlo. Combattere questa fallacia può apparentemente sembrare semplice ma in effetti è piuttosto complesso in quanto insinua un dubbio il cui contrario è difficilmente dimostrabile. Occorrerebbe, infatti, mostrare che l’accento posto su quella circostanza particolare è una semplice allusione, non un’affermazione e quindi quello a cui rimanda può essere falso.
  3. Il Linguaggio pregiudizievole, che si manifesta quando alcuni termini di un enunciato sono fortemente connotati emotivamente per suggerire un giudizio di consenso o dissenso. L’esempio tipico è l’affermazione: “la mia proposta verrà sicuramente respinta dai soliti burocrati ministeriali”. In questo caso la terminologia utilizzata (i soliti burocrati) suggerisce che l’eventuale rifiuto non è dovuto alla inconsistenza della proposta ma un mero arbitrio di chi è abituato a porre ostacoli piuttosto che a risolvere problemi. In questo caso chi voglia contrastare la fallacia deve affermare che il giudizio sulla proposta non deve tener conto di quanto insinuato nella frase che ha proprio lo scopo di evitare una decisione serena ed equa.
  4. L’Espressione prevalente sul contenuto, quando l’argomento o la persona che argomenta vengono presentati in modo da orientare aprioristicamente un giudizio o una decisione. Per esempio, l’invito ad ascoltare il consiglio di una persona presentata come attendibile e competente. In questo caso lo stile utilizzato è completamente indipendente dalla conclusione che può comunque essere indifferentemente vera o falsa.

Il secondo macro gruppo è formato dalle fallacie di manipolazione della realtà, che sono più subdole e strutturalmente più complesse. Le più utilizzate sono:

  1. Le Fallacie di generalizzazione che si ottengono facendo diventare l’osservazione di un evento particolare, una regola universale. Una conferma parziale che diventa un giudizio definitivo. In altri termini si ha un ragionamento induttivo difettoso, in base al quale il concetto generale non scaturisce dalle osservazioni particolari ma si tende ad identificarlo con una singola osservazione parziale. Un esempio che mostra in tutta la sua evidenza l’errore nel ragionamento è rappresentato dal quotidiano “Libero” del 6 maggio del 2019, che titolava così: “Riscaldamento del pianeta? Ma se fa freddo.” E procedeva sottotitolando: “Neve in montagna. E a Milano minime a 5 gradi. Il termometro smentisce i gretini nostrani”. In base alla tesi del giornalista, insulto a parte, l’insolita ondata di freddo che ha caratterizzato l’inizio di maggio 2019, con qualche giorno di temperature eccezionalmente basse, è diventata un fenomeno scientifico da cui trarre la tesi che non esiste il riscaldamento globale. La fallacia dell’argomentazione è evidente, e ciò a prescindere dal fatto che si creda o meno nella teoria del riscaldamento globale, in quanto, procedendo per induzione il giornalista pretende di trarre una regola scientifica da un fatto meramente occasionale. Ma il problema in questi casi è che questo titolo è stato condiviso migliaia di volte nei social da cybernauti ingannati dal procedimento logico utilizzato, scatenando insulti e odio verso i seguaci della teoria del riscaldamento globale e, allo stesso modo, questi ultimi, sentendosi “culturalmente superiore”, hanno ritenuto di avere il diritto di insultare ed odiare chi reputa “culturalmente inferiore” per il solo fatto che non accetta la teoria.
  2. Le Fallacie di semplificazione si hanno quando si trascura la distinzione tra opposto e complemento. I termini generali del linguaggio, infatti, hanno gli opposti (es. bello – brutto, corretto – scorretto), ma anche i complementi e cioè quando con un termine generale ci si riferisce a quell’insieme di cose che non hanno la caratteristica correlata al termine generale di riferimento. Oppure quando si fa riferimento a due torti che diventano una ragione. Un esempio del primo tipo è quando si afferma: “la teoria del riscaldamento globale non è corretta…”, quest’affermazione non implica di per sé che sia scorretta, perché potrebbe riferirsi al fatto che non è corretta la forma grammaticale con cui è esposta o non è corretta se considerata nel breve periodo, ecc., pertanto il ragionamento non può essere preso come valore assoluto in quanto deve tener conto sia degli opposti che dei complementi. Un esempio del secondo tipo potrebbe essere la seguente affermazione: “è vero che ho rubato, ma lo fanno anche i politici quindi che c’è di male?”, come se il fatto che l’illecito sia compiuto da chi dovrebbe essere d’esempio sia di per sé una giustificazione.
  3. Le Fallacie di analogia, si fondano sul concetto di analogia, in base al quale un rapporto di somiglianza tra alcuni elementi costitutivi di due fatti od oggetti è tale da far dedurre mentalmente un certo grado di somiglianza tra i fatti o gli oggetti stessi. Pertanto, consiste nell’indurre la persuasione che cose simili per un attributo, lo siano per tutti gli altri, oppure quando si attacca l’interlocutore ma mediante un’analogia che ha il fine di gettare discredito sulla sua figura. In questi casi il giudizio è influenzato dall’introduzione di materiale incongruo, estraneo e non argomentato; la discussione è portata fuori strada dall’analogia abusiva, che è indimostrabile ma, paradossalmente, anche inconfutabile, dato che l’analogia tende a far sì che non vi siano apparenti alternative all’interpretazione indotta dall’analogia stessa. Alcuni esempi possono essere: l’accostare i centri di accoglienza per gli immigrati agli ebrei nei Lager nazisti per il solo fatto che i richiedenti asilo sono momentaneamente privati della libertà e perché sono soggetti a decisioni prese da altri; o quando si affermi che poiché la scienza non ammette certezze assolute, allora uno scienziato non ha una conoscenza più certa di quanto non l’abbia un analfabeta. L’analogia abusiva, dunque, tende ad ottenere l’esatto opposto rispetto a una buona analogia, in quanto, anziché introdurre un elemento di verità che migliori la comprensione dell’argomento, ottiene l’effetto migliore di persuasione nella misura in cui trova raffronti del tutto arbitrari e infondati, ma simpatici e spettacolari. Qualsiasi analogia può risultare abusiva se fonda la sua forza di persuasione sull’originalità e imprevedibilità di un argomento che obbliga a pensare un certo tema in quel modo e solo in quello.
  4. Le Fallacie causali sono in apparenza molto diverse tra loro, ma si basano tutte sul presupposto di assumere come causa di un certo evento qualcosa che o non lo è o non lo è in senso stretto. Le principali sono:
    • La Correlazione casuale (post hoc ergo propter hoc), che si basa su una locuzione latina che tradotta significa “dopo questo, e quindi a causa di questo”, è un vero e proprio sofisma per il quale si afferma l’esistenza di un rapporto di causalità tra due avvenimenti, per il solo fatto che l’uno è posteriore all’altro. Da queste fallacie di norma nascono le superstizioni o le teorie complottiste: Poiché quando nel 1630, subito dopo il passaggio di una cometa, scoppiò una pestilenza in Europa allora si deduce che tutte le comete portino disastri e sfortuna; Siccome il miliardario Bill Gates è un imprenditore nel campo dell’informatica e sta finanziando lo studio di un vaccino per il Covid-19, è evidente che ha lo scopo di controllare la popolazione mediante l’inoculazione tramite il vaccino di un microchip.
    • La Causalità semplificata è una delle procedure argomentative più frequenti e subdole, perché distorce la percezione della realtà e ne impedisce la conoscenza effettiva. Si ottiene pretendendo di individuare un’unica causa di un fenomeno che invece ha una complessa molteplicità di fattori causali. In genere lo scopo di tale argomentazione manipolativa è quello di preludere all’individuazione di un capro espiatorio del fenomeno considerato. Se ad esempio si individua nelle spese per sostenere le politiche migratorie la causa della forte pressione fiscale (mentre le cause sono ovviamente molteplici e la politica migratoria ne costituisce solo una piccolissima porzione), automaticamente si identifica negli immigrati la categoria che danneggia economicamente chi è costretto a pagare tasse elevate, il passaggio ulteriore dalla categoria all’individuo è inconsapevole e porta ad atteggiamenti di odio e violenza verso la categoria e verso le singole persone che la rappresentano ai nostri occhi.
    • Nell’Inversione causale si verifica la circostanza per cui nella spiegazione di un fatto si inverte la causa con l’effetto. L’evento viene presentato come causa di un certo effetto, in realtà non ne è la causa, o è dubbio che lo sia. Affermare ad esempio che “il prurito che ti tormenta è dovuto al fatto che continui a grattarti” rappresenta una chiarissima inversione tra causa ed effetto. Il grattarsi, infatti, non è la vera causa del prurito (che sarà il morso di un insetto o un’orticaria), bensì ne rappresenta l’effetto (dare sollievo al fastidio del prurito). In termini di comunicazione politica, l’inversione causale viene spesso utilizzata per denigrare attività della maggioranza da parte dell’opposizione o viceversa. Un esempio è l’affermazione “il proliferare della confusione nel susseguirsi dei decreti sul covid-19 ha provocato la mancata conoscenza e quindi la diffusione del virus”, che ha il palese scopo di attaccare le politiche del Governo sulla gestione della pandemia, in realtà si ha un’inversione causale in quanto è la mancata conoscenza sulle caratteristiche virali della malattia e la sua diffusione che hanno provocato una normazione caotica e spesso non idonea alla lotta contro la diffusione della pandemia. Ciò ha ovviamente uno scopo meramente esemplificativo e prescinde dal merito della questione sulla maggiore o minore efficacia dell’azione di governo.
    • L’Appello alle conseguenze negative (pendio sdrucciolevole), spesso utilizzata nelle discussioni bioetiche[8], con cui si sottolinea che l’accettazione di determinate scelte finirà col giustificare, nel lungo periodo, altre scelte che inizialmente non si ammettevano. Si ponga l’esempio di chi sostiene che l’accettazione dell’eutanasia volontaria, quando il paziente ha avuto modo di scegliere liberamente e manifestare chiaramente la propria volontà, comporterà di sicuro in futuro l’accettazione dell’eutanasia per presunzione della volontà da parte del medico che “interpreta” il volere del malato evitandogli sofferenze; oppure: se permettiamo matrimoni tra persone dello stesso sesso, allora la prossima mossa sarà il matrimonio con bambini legittimando la pedofilia e poi con gli animali accettando la zooerastia. In tal modo si tende a mettere in guardia contro certi fenomeni che tendono, per meccanismi propri a propagarsi, producendo effetti negativi, per cui una volta che si inizia a scivolare su un pendio sdrucciolevole non è più possibile fermarsi. In realtà la catena causale evocata non è certa e si enfatizzano come sicuri gli eventuali possibili effetti negativi facendoli derivare, forzandone la causalità, da tesi iniziali certe al fine di metterne in dubbio la validità.
    • L’Explanans non controllabile, in base alle quale si dà ad un fenomeno una spiegazione causale non controllabile: “la diffusione del coronavirus è causata dalle antenne 5G che stanno montando in tutto il mondo”. In questo caso la spiegazione causale della diffusione del virus, oltre che fantasiosa, non è comunque verificabile in alcun modo e quindi ci si può credere solo per una totale mancanza di cultura critica nei confronti di ciò in cui ci si imbatte, purtroppo spesso, su Internet.
  5. Fallacie statistiche. Quando si parla di statistica occorre premettere brevemente alcune informazioni che ci chiariscano cosa è e come si interpreta una statistica; tecnicamente la statistica descrittiva si occupa di sintetizzare, attraversi indici analitici (misure di frequenza, misure medie, ecc.) e rappresentazioni tabellari e grafiche (grafici a torta, a barre, linee di tendenza ecc.), le informazioni collezionate relativamente ad un particolare fenomeno di interesse, quella inferenziale, invece, partendo da un numero limitato di osservazioni del fenomeno e impiegando gli strumenti matematici del calcolo delle probabilità persegue l’obiettivo di passare dal particolare al generale. Quando si cita una statistica a sostegno di una propria tesi è dovere di chi la cita indicarne l’autore, la fonte, la data, l’argomento preciso e l’obiettivo del documento. Ciò premesso, la caratteristica principale delle fallacie statistiche, che le accomuna tutte, è l’inferire, da pochi dati statistici o da dati non certi di cui si sconosce la provenienza, delle conclusioni a carattere assoluto che hanno lo scopo di condizionare l’opinione pubblica. A titolo di esempio si immagini qualcuno che citi una presunta statistica secondo la quale il 73,87 % degli incendi nella foresta amazzonica viene appiccato intenzionalmente. Ma da dove vengono rilevate le osservazioni utili per la formulazione della statistica? chi ne è l’autore? quali metodi d’indagine ha utilizzato? qual è il suo obbiettivo? Invero, per loro natura, la causa di un gran numero di tali incendi, considerata la vastità del territorio ed il fatto che spesso si autoestinguono senza l’intervento dell’uomo, è e rimane sconosciuta. Inoltre, anche quando la causa sia nota, ad esempio una cicca di sigaretta accesa gettata dal finestrino, è molto difficile verificare se essa sia stata gettata intenzionalmente o incautamente. Oppure si immagini la frase “In queste elezioni abbiamo ottenuto un incremento dei voti del 12%”, in questo caso l’uso distorto della statistica può portare ad affermazioni false ma apparentemente vere perché supportate, appunto, da statistiche. Invero l’incremento percentuale può essere corretto ma basato su una percentuale di votanti minima e quindi l’aumento percentuale non trova riscontro in quello numerico; oppure l’aumento può fare riferimento ad un minimo storico raggiunto molto tempo prima, infine può essere rapportato ad una tipologia di elezione completamente diversa (ad esempio amministrative di un grosso comune e quelle complessive europee). Allo stesso gruppo appartengono le fallacie delle generalizzazioni indebite. Molti dibattiti televisivi sono caratterizzati da interlocutori dalle opposte tendenze politiche che sciorinano statistiche che dovrebbero dimostrare la loro tesi, spesso in contrapposizione con altre di segno opposto citate dagli avversari. È noto l’esempio di un noto esponente politico che, in diversi dibattiti in varie reti televisive, relativi al contrasto all’immigrazione ha citato, in una settimana, ben quattro statistiche sullo stesso argomento, una diversa dall’altra, in funzione del tipo di utenza che di norma ascolta la specifica tipologia di programma a cui partecipava. Il paradosso è che i diversi interlocutori che incontrava, a loro volta, citavano altre presunte statistiche su medesima base argomentativa volte a dimostrare il contrario, in una serie senza fine che si può definire catena dell’irrilevanza.

Il terzo macro gruppo di Fallacie sono quelle di diversione si manifestano quando si alterano la rilevanza e l’interesse di un fatto o di una notizia che, quindi, possono sembrare interessanti o utili anche quando non lo sono affatto e vengono usati appositamente per distogliere interesse da temi che sono, invece, più importanti o semplicemente pongono altri problemi, di per sé rilevanti, ma che hanno poco a che vedere con quello in discussione. In particolare, si possono distinguere, all’interno di questa categoria, tre comportamenti manipolatori tipici:

  1. Fallacia delle domande complesse, con tale espediente argomentativo si inseriscono: molte domande in una sola, in modo tale che chi deve rispondere con un sì o con un no si trova nell’impossibilità di rispondere separatamente a ciascuna domanda, che, invece, avrebbe bisogno di essere chiarita in modo da consentire risposte univoche. Ad esempio, se in un dibattito alla presenza di altri interlocutori chiedo al mio avversario di cui voglio screditare le idee: “A proposito ma alzi le mani ancora su tua moglie quando sei ubriaco?” È chiaro che a tale domanda qualunque risposta secca (sì o no) si dia, implica necessariamente il fatto che la persona è un violento ubriacone che nella vita usa o, quanto meno, usava picchiare la moglie quando era ubriaco, con la conseguenza che il mio scopo di gettare discredito sulla persona e indirettamente sulle sue tesi è raggiunto. Questo tipo di argomentazione è, ovviamente, molto usata in politica, spesso infatti si sente l’esponente di una parte politica che apostrofa l’altro, in un contesto che non c’entra nulla, dicendo “prima di parlare dell’argomento, avete già restituito i 49 milioni che avevate rubato? In questo caso è evidente che rispondere “sì” equivarrebbe ad ammettere di aver rubato i soldi e di averli poi restituiti, mentre dire “no” equivale ad ammettere semplicemente il furto.
  2. Fallacie di rilevanza, che sono accomunate dal tentativo di spostare il baricentro dell’argomentazione dal tema discusso dalle parti (o dalla tesi difesa da una delle due parti, o dalle ragioni addotte a favore o contro tale tesi) ad altri temi (o altre tesi, o ad altre ragioni) meno rilevanti. Un’ipotesi ricorrenti ed utilizzata nelle discussioni sui social e nei dibattiti televisivi è la fallacia ad hominem, che esiste in molte versioni e si ha quando una parte non critica la tesi sostenuta dall’altra, ma attacca direttamente la persona che la sostiene o alcuni aspetti della sua vita, della sua condotta, del suo pensiero che non sono rilevanti per l’argomento della discussione. Un esempio si è più volte visto in televisione quando nel controbattere ad una tesi sull’economia del paese proposta da un politico economista molto basso di statura, l’interlocutore, con aria ironica fa riferimento “all’alta statura” accademica dell’interlocutore, deviando l’attenzione dall’argomento alla caratteristica fisica. Oppure chi sostiene che l’ex presidente della repubblica non poteva essere garante della democrazia perché era comunista e non ha mai riconosciuto i misfatti dei regimi comunisti. Ancora, quando si critica una tesi per il solo fatto che chi la propone è lui stesso ad aver colpevolmente commesso l’azione o il tipo di azione che rimprovera al suo interlocutore: “i politici cattolici di destra dicono di difendere l’indissolubilità della famiglia e poi sono loro stessi divorziati. Ma quella di più ampio uso è certamente l’ignoratio elenchi, che si commette quando, anziché argomentare a sostegno di una determinata conclusione, si argomenta a favore di una conclusione solo apparentemente simile, ma in realtà ben differente e ben più facile da sostenere. A chi non è capitato infatti di ascoltare un discorso simile nel talk show politici? “Lei mi chiede come penso di risolvere il problema degli immigrati clandestini io rispondo che io sono italiano e a me preoccupano più gli italiani, che sono costretti a subire un regime fiscale che soffoca ogni possibilità di rilancio e di sviluppo. Andando in giro per le strade e i mercati, incontro tantissimi cittadini e vi garantisco che tutti, a causa del regime fiscale a cui sono sottoposti non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese. Vi sembra forse possibile immaginare un rilancio dell’economia con le tasse alle stelle?”. In questa frase vediamo oltre all’ignoratio elenchi anche l’argumentum ad populum, di cui si parla in seguito. Come si vede anziché argomentare su una tematica magari spinosa e complicata come quella relativa al problema degli immigrati clandestini, si preferisce virare verso un argomento del tutto differente, su cui è molto facile argomentare contando su argomenti piuttosto generalisti e di facile condivisione.[9]
  3. Le fallacie di autorità, che nei mesi scorsi hanno riempito i dibattiti televisivi a proposito della diffusione del covid-19. In genere si evidenziano quando in una discussione una parte cerca di rafforzare la propria tesi facendo appello a un vero esperto ma in un campo che non è quello di cui si sta discutendo. Si è infatti visto frequentemente che alcune espressioni, spesso decontestualizzate, di medici specialisti in campi diversi dalla virologia o epidemiologia, sono state utilizzate per criticare provvedimenti del Governo, facendo appello alla notorietà scientifica del nome citato, senza però chiarire che il campo di specializzazione non ha nulla a che vedere con quello in argomento. Oppure quando si è fatto riferimento a presunte citazioni dei “padri costituenti”, per sostenere tesi su argomenti (quale la pandemia) su cui i padri costituenti non hanno ovviamente mai fatto cenno.
  4. L’Argumentum ad judicium si verifica quando si argomenta a favore o contro una tesi facendo appello a un presunto sentimento popolare o opinioni condivise piuttosto che alla ragione. Ad esempio: La gente ha paura! La stragrande maggioranza degli italiani sostengono che in Italia c’è meno sicurezza di prima, quindi ci sono buone ragioni per credere che in Italia esista e sia in aumento un problema sicurezza. Ciò sebbene le statistiche dell’ISTAT dimostrino con tutta evidenza che in Italia vi è una decrescita dei reati di tutti i tipi. Oppure il politico che accetta una bustarella che si giustifica dicendo che tutti ormai accettano il fatto che bisogna “oleare gli ingranaggi” perché il meccanismo funzioni e quindi non c’è nulla di male. La verità di un enunciato però non dipende da chi, e da quanti, lo giudicano corretto o scorretto ma da una serie di indici obiettivi (la legge, le prove scientifiche, ecc.). Un sottotipo di questa fallacia è l’argumentum ad populum, in base al quale si ritiene vera o falsa un’affermazione facendo appello al sentimento popolare: ad esempio “il popolo vuole andare subito ad elezioni. Vox populi vox dei!”
  5. Lingua emotiva e parole connotate. Una delle fallacie più efficaci consiste nel ricorso a varie forme di appello alle emozioni. Il confine tra l’uso retorico e fallace delle emozioni è però piuttosto sottile. In generale tanto più l’appello alle emozioni prende il posto della giustificazione razionale della tesi sino a diventarne la ragione principale, tanto più si potrà parlare di un uso fallace dell’argomento. L’imbroglio retorico dell’appello alle emozioni, infatti, si verifica quando la razionalità è sostituita dall’emozione e si è indotti ad aderire a una certa tesi e ad agire di conseguenza, per effetto di appelli a varie passioni. In tal modo si induce gli interlocutori a credere che il sentimento sia una guida migliore della ragione. Ad esempio, l’appello ad una presunta superiorità della propria identità etnica o di classe o nazionale può suscitare l’odio verso altre razze, etnie o semplicemente verso gli stranieri in conseguenza di una loro evocata pericolosità, in quanto attentano alla nostra identità o integrità raziale e/o etnica.

Infine, c’è il gruppo delle Fallacie Formali che sono argomenti espressi nel linguaggio naturale derivanti dall’uso di regole di inferenza invalide o valide ma applicate erroneamente. Si tratta di Fallacie argomentative più complesse, che presuppongono la perfetta padronanza delle sottigliezze linguistiche e, di conseguenza, sono più difficili da controbattere. Le principali sono:

  1. Affermazione del conseguente e negazione dell’antecedente, entrambe legate al modus ponens, per cui date due proposizioni “p” e “q”, se l’affermazione “p” implica “q” è vera, se “p” è vera allora anche “q” sarà vera, e al modus tollens, in base al quale date due proposizioni “p” e “q”, se “p” implica “q”, come nel caso precedente, e se “q” non è vera allora anche “p” non è vera. Nella prima (affermazione del conseguente) i ragionamenti del tipo “se…allora” si prestano all’inversione dell’ordine naturale di conseguenza logica. Un esempio di forma corretta di ragionamento secondo il modus ponens è il seguente: “Se c’è un decreto che sancisce il diritto degli imprenditori durante la pandemia a prestiti garantiti dallo stato, allora io che sono un imprenditore ne ho diritto”. Ma lo stesso ragionamento può essere alterato fino a farlo diventare invalido introducendo la fallacia dell’affermazione del conseguente: “Non ho ottenuto il prestito garantito dallo stato, quindi non è vero che esiste un decreto che ne ha introdotto il diritto”. Qui il salto logico è evidente in quanto potrei non aver ottenuto il prestito per vari motivi indipendenti dall’esistenza della norma, quali, ad esempio, l’aver presentato documenti falsi o errati, non rientrare tra le categorie beneficiarie, ecc. La negazione dell’antecedente, invece, consiste in un ragionamento che parte da premesse evidentemente contraddette dalla conclusione e si realizza in un’errata applicazione del modus tollens. Ad esempio, si ponga l’affermazione: “se sei di sinistra allora sei una persona colta”, applicando la negazione dell’antecedente si potrebbe affermare la seguente frase: “Tu non sei di sinistra quindi sei un ignorante!”. Mi sembra superfluo specificare quanto questo esempio sia attuale, in un contesto storico dove l’egemonia culturale della sinistra sembra aver, erroneamente, relegato la destra a mera comparsa ignorante e ingenua.
  1. Fallacia esistenziale. Per comprendere il senso di questo tipo di fallacia argomentativa è necessaria una piccola premessa filosofica: Aristotele ha immaginato che per essere un sillogismo valido deve rispettare il “il quadrato delle opposizioni”, che indica le relazioni esistenti tra i quattro diversi tipi di enunciati con cui si possono costruire i sillogismi: universale affermativo «Tutti i metalli sono conduttori di elettricità»; universale negativo «Nessun insetto è mammifero»; particolare affermativo «Qualche metallo è conduttore di elettricità» e particolare negativo «Qualche insetto non è mammifero». Secondo il filosofo, dunque, tra l’universale affermativa e la rispettiva particolare affermativa, così come tra l’universale negativa e la rispettiva particolare negativa, esiste una relazione denominata di subalternità. Due enunciati sono subalterni quando sono entrambi veri o entrambi falsi, e uno (l’enunciato particolare) descrive uno stato di cose derivabile dall’altro (l’enunciato universale). Esemplificando, tra l’enunciato universale «Tutti i triangoli sono poligoni di tre lati» e quello particolare affermativo «Qualche triangolo è un poligono di tre lati», oppure tra l’enunciato universale negativo «Nessuna sostanza che si trovi allo stato aeriforme e sia priva di volume è un solido» e quello particolare negativo «Qualche sostanza che si trovi allo stato aeriforme e sia priva di volume non è un solido» esiste questa relazione di subalternità. Per Aristotele, quindi, quando l’universale è vera, come nel caso dell’universale «Tutti i triangoli sono poligoni di tre lati», è vera anche la subalterna «Qualche triangolo è un poligono di tre lati» mentre quando l’enunciato universale è falso, come ad esempio «Nessun uomo è bipede», allora sarà falso anche l’enunciato «Qualche uomo non è bipede»[10]. Non sempre però una proposizione particolare deriva da una universale, tale criticità può essere compresa ad esempio in relazione alle discipline scientifiche o teoriche, dove spesso si ragiona senza presupporre l’esistenza degli oggetti a cui ci si riferisce. Per semplificare si ponga la frase: «Tutte le guerre determinano danni». Tale enunciato può essere considerato vero, ma sarebbe ugualmente vero anche se, in questo momento, non vi sia in corso alcuna guerra, in questo caso si tratterebbe di un ragionamento universale ma non esistenziale. Ma, se da esso si fo scaturire la seguente affermazione: «alcune guerre determinano danni», si sosterrebbe l’esistenza reale di qualcosa che, in alcuni contesti o momenti, potrebbe non esistere. La fallacia esistenziale si inserisce in tale ragionamento, rendendolo più concreto. Invero, inferire da premesse generali “non esistenziali” conclusioni particolari “esistenziali” può diventare un errore. E la possibilità di commettere tale errore ci deve far porre l’attenzione sulla portata esistenziale degli enunciati che impieghiamo, per non trovarci a concludere l’esistenza di oggetti o entità che non esistono quando magari si ragiona solamente in modo astratto. In altri termini una premessa universale, che non asserisce l’esistenza effettiva degli individui appartenenti alla classe, non può avere una conclusione particolare, che invece aggiunge l’esistenza, senza averla ricavata dalle premesse. Nessuna inferenza è, infatti, valida se la conclusione contiene elementi che non sono contenuti nelle premesse.
  1. Fallacia delle premesse negative per cui in un sillogismo da due premesse negative non si può trarre alcuna conclusione valida. Date le due premesse: “quelli di destra non sono onesti” e “quelli di sinistra non sono democratici”, non si potrà inferire che “quindi quelli di centro non sono onesti”. Invero un ragionamento sillogistico stabilisce una relazione tra due termini con la mediazione di un terzo, perciò se le due premesse sono negative, il termine medio non può svolgere alcuna funzione mediatrice.
  2. La Fallacia delle premesse contraddittorie si ottiene quando il ragionamento sembra coerente, ma la conclusione è tratta da due premesse contraddittorie. Si immagini il seguente sillogismo: “quelli di destra sono disonesti”, “il leader della destra è una persona onesta”, “il leader della destra non è quindi di destra”. Da premesse contraddittorie, dunque, può derivare qualsiasi cosa. L’implicazione materiale è corretta e il suo valore di verità è il Vero, ma come argomentazione è fallace in quanto una qualsiasi conclusione può essere derivata, arbitrariamente, da una premessa contraddittoria e quindi falsa.

Conclusioni

In conclusione, questo scritto va considerato come un primo approccio verso lo studio del “pensiero critico”, che consenta di pensare con chiarezza, in modo razionale e, soprattutto, indipendente, e che, come si è detto in premessa, in questo periodo storico è piuttosto “latitante”. In letteratura esistono molteplici classificazioni delle Fallacie Logico-argomentative ed innumerevoli tipologie di fallacie, che spesso differiscono per minimi particolari. Nel paragrafo precedente ho tentato di raggruppare le più diffuse tipologie di fallacie in quattro macro classi, all’interno delle quali ho fatto un’ulteriore classificazione, che ritengo utile per comprendere meglio la ratio logica a cui sottostanno le argomentazioni fallaci, elencando, infine, le singole fallacie e come nascono, quali sono i fini a cui mirano e come ci si può difendere per evitare di utilizzarle (dimensione interna)  nei nostri discorsi o per trovarle e controbbaterle nei discorsi degli altri (dimensione esterna).

In definitiva possiamo trarre alcune regole utili perché il nostro approccio con le fallacie sia critico e costruttivo. Per la verifica dei ragionamenti propri ed altrui, dovremmo chiederci ad esempio:

  1. se le conclusioni ottenute rispettano lo scopo, il motivo a cui mira il ragionamento;
  2. quale dovrebbe essere la questione chiave rispetto al problema oggetto dell’argomentazione utilizzata;
  3. quali informazioni siamo sicuri che sono vere e verificabili e di quali ulteriori informazioni avremo bisogno per rendere più logico l’argomento trattato;
  4. a quali conclusioni si può logicamente giungere in relazione ai concetti utilizzati;
  5. quali sono i punti di vista diversi dal nostro ed utilizzare quindi il pensiero laterale;
  6. quali implicazioni potrebbe avere, nella discussione, la conclusione che intendiamo contrastare o raggiungere;
  7. qual è l’obiettivo finale da conseguire.

Dopo aver passato in rassegna le principali fallacie logico-argomentative e dopo esserci poste le suddette domande di rito per tentare di evitarle, occorre fare qualche considerazione di carattere generale. L’esercizio richiesto per riconoscere le più diffuse strategie comunicative, è certamente complicato, richiede notevole attenzione e presenta il rischio di staccarsi un po’ dai canoni standard della comunicazione quotidiana, finendo così per individuare delle fallacie argomentative laddove in realtà queste rappresentino solo parziali imperfezioni del ragionamento o, in altri casi, semplici considerazioni personali. La fallacia in sé non è necessariamente un ostacolo alla comunicazione. La verità o la persuasività di un ragionamento non sono infatti sempre commisurati alla sua correttezza argomentativa, anzi, spesso, un argomento corretto dal punto di vista logico può apparire (in base al contesto in cui è utilizzato) inutile o poco interessante, cioè privo di appeal.

Inoltre, abbiamo visto come le principali difficoltà derivino dal fatto che sotto il nome di fallacie sono tradizionalmente riuniti argomenti inaccettabili per due motivi diversi: quello inferenziale e cioè la mancanza di correttezza logica nel ragionamento, e quello dialettico, il fatto che sono considerate tecniche scorrette nella strategia argomentativa. La logica classica (deduttiva e induttiva) non ha mostrato di poter creare una teoria generale delle fallacie che sia esaustiva; gli standard logici impersonali, infatti, non risolvono i casi nei quali il difetto è legato alla comunicazione. Viceversa, le diverse teorie di matrice dialettica hanno tutte il problema opposto di stabilire a chi spetti, in assenza di un criterio impersonale che si fondi sulla logica deduttiva o induttiva, il giudizio ultimo sulla correttezza dell’argomentazione.

Ma ciò che più di tutto mi preme sottolineare è l’importanza della capacità di utilizzare lo “spirito critico”, che da solo ci offre gli strumenti pragmatici per individuare le Fallacie e difendersene. Ma per far ciò occorre ripensare il concetto di Istruzione, liberandolo dalla schiavitù dell’algoritmo, che inquadra tutti i fenomeni nel circolo vizioso input/output della logica informatica e computazionale (entrambe importanti ma non esaurienti), escludendo la logica classica[11]. In questo contesto assumono un’importanza fondamentale i sistemi scolastici intesi quale luogo formativo per eccellenza che devono dare forma a un saper pensare e non limitarsi a far assimilare conoscenze e regole di apprendimento e di uso dei saperi. Il sistema scolastico, infatti, influenza la società nella misura in cui riesce a creare uno spirito critico nel cittadino, che consente, nel passaggio dall’infanzia all’età adulta, passando per l’adolescenza e la giovinezza, una maggiore consapevolezza e una maggiore capacità di destreggiarsi tra le insidie della vita. La logica, dunque, andrebbe posta al centro del saper-pensare, con i suoi modelli di rigore, di spiegazione, di convalida e di dimostrazione. Da coltivare sia col pensiero scientifico-matematico – con quei principi logici che regolano il discorso e che si sono sviluppati in forma matematica, arrivando fino ad oggi, mediante l’utilizzo dei procedimenti dell’induzione e della deduzione – sia col pensiero umanistico, a partire da Aristotele, per passare da Cartesio, Galilei, fino a Frege, Dewey, Dilthey e Husserl, che hanno riconfermato la centralità della logica formale, il suo rigore e la sua complessità interna. Ma non bisogna dimenticare altre forme di pensiero che seguono procedure diverse e che restano centrali nella formazione della mente e nella vita culturale e sociale e che trovano nel pensiero creativo la loro giustificazione.

L’argomento è urgente e centrale. Va dibattuto, va sperimentato, va diffuso a tutti i livelli, specie nella formazione dei docenti e nel modello di curricolo che devono realizzare. Ciò senza nulla togliere al fatto che la società tecnologica e iperconnessa ha bisogno di competenze specialistiche; c’è però un estremo bisogno di una cultura ampia che conosca gli stili cognitivi e di una spiccata capacità di passare dialetticamente tra questi diversi registri cognitivi e logici. Solo una scuola moderna ed aperta può dunque creare menti plurali e dialettiche.

NOTE

[1] Per approfondire il concetto di post verità, cfr https://www.giuseppemotta.it/post-verita-fake-news-e-complotti/.

[2] Cfr. A. Coliva, E. Lalumera, Pensare. Leggi ed errori del ragionamento. Carrocci, Roma, 2006.

[3] Tra tutti si consiglia: I. M. Copi, C. Cohen, Introduzione alla logica, Il Mulino, Bologna, 1997. F. D’Agostini. Verità avvelenata, Bollati Boringhieri, Torino, 2010. G. Boniolo, P. Vidali, Strumenti per ragionare. Logica e teoria dell’argomentazione. Bruno Mondadori, Milano, 2011. D. Kahneman, Pensieri lenti e veloci, Oscar Mondadori, Milano, 2011. N. Simonetti, R. Zanardi, Filosofia e scienze della Mente, Armando Ed., Roma, 2004. G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1977. F.F. Calemi, M.P. Paoletti, Cattive Argomentazioni: come riconoscerle, Carrocci, Roma, 2014. A. Mura, Le fallacie argomentative tra logica e dialettica, https://www.researchgate.net/publication/316138189_Le_fallacie_argomentative_tra_logica_e_dialettica. .Sul Web si può trovare moltissimo sull’argomento, ma il sito più completo è: https://www.fallacielogiche.it/.

[4] Aristotele, Confutazioni sofistiche, Laterza, Roma, 2007.

[5] J. Locke, saggio sull’intelligenza umana, Laterza, Roma, 2006.

[6] A. Varzi, J. Nolt, D. Rohatyn, Logica, McGraw-Hill, New York, 2007.

[7] F. F. Calemi, M. P. Paoletti, cit. nota 4.

[8] Per l’applicazione della Fallacia del piano sdrucciolevole nel campo della bioetica cfr. A. Del Re, Filosofia morale: storie, teorie, argomenti, Pearson, Torino, 2018, pagg. 181 e segg.

[9] Cfr. G. Sergioli, Fallacie argomentative, Aphex, giornale di filosofia, su http://www.aphex.it/public/file/Content20150910_APhEx12,2015TemiFallacieargomentativeSergioli.pdf, (ult. acc. 16/06/2020).

[10] G. Boniolo, P. Vidali, Strumenti per ragionare, Mondadori, Milano, 2002, p. 20 e segg.

[11] Il pensiero computazionale è un processo mentale che consente di risolvere problemi di varia natura seguendo metodi e strumenti specifici, pianificando una strategia e che va molto di moda nella pedagogia contemporanea, che, spesso, lo ritiene l’unico tipo di pensiero da insegnare nelle scuole perché mira alla risoluzione di problemi concreti. La logica classica, quella aristotelica, viene considerata ormai troppo formale e lontana dai processi di ragionamento usati dall’uomo nella risoluzione dei problemi pratici.


Le “fallacie” sono riportate in tutti i trattati di logica, di linguistica o di psicologia e sono tutte codificate con varie classificazioni, che vedremo, e sono, almeno in apparenza, immediatamente riconoscibili come tali[i]. Ma vediamo nello specifico che cosa sono le “fallacie”.

La teoria delle “fallacie” risale ad Aristotele[ii], che elenca tredici fallacie in cui è possibile incorrere nel contesto della discussione critica. Questo elenco è stato nei successivi due millenni rivisitato ed ampliato ma, nella sostanza, è rimasto invariato. Lo stagirita vedeva nella deduzione sillogistica l’unica forma corretta di ragionamento e nelle “fallacie”, invece, forme di argomentazioni che, pur sembrando sillogismi, in realtà non lo sono; in questi ultimi casi l’intuizione suggerisce che il ragionamento sia apparentemente corretto, ma una più attenta analisi dimostra che esso è effettivamente erroneo. Ad esse ne vennero aggiunte altre quattro, in epoca moderna, da John Locke nel Saggio sull’intelligenza umana[iii]. Locke, come Aristotele, ha in mente un contesto dialettico o retorico, le quattro forme di argomentazioni infatti sono, per Locke, quelle “che gli uomini, ragionando tra loro, ordinariamente usano per ottenere l’assenso di altri, o, quantomeno, per intimidirli e tacitare la loro opposizione”.

Ma che cosa è una fallacia?

In termini strettamente tecnici è un errore nel ragionamento o nella sua argomentazione che appare “psicologicamente persuasivo”. Tale nozione è caratterizzata da due aspetti inscindibili e peculiari: il sembrare qualcosa che non è, e l’avere una qualche forma di erroneità, o scorrettezza logica che la invalida. Per poter analizzare le “fallacie” occorre preliminarmente distinguere il problema della loro origine, quello cioè che le rende un errore logico, da quello della loro portata, che riguarda invece le conseguenze che l’errore ha in determinati contesti. In relazione all’origine serve solo distinguere quegli elementi del contesto che caratterizzano come fallace l’argomentazione a prescindere dagli effetti di “contesto”; la “portata”, invece, va contestualizzata perché potrebbe avere effetti diversi in contesti diversi. Lo studio della portata delle fallacie nel contesto della discussione critica ha senso per tutte le fallacie, viceversa non è così per la ricerca dell’origine che può non avere alcuna rilevanza ai fini della circostanza cui si riferisce. Vi sono tuttavia “fallacie” che sono riconducibili a forme argomentative che sono corrette in certi contesti ma non in altri, vi sono “fallacie”, infine, che riescono false in quasi tutti i contesti in cui esse hanno luogo. Di norma, guardare alla forma logica appare necessario per ragionare e per potere concepire delle argomentazioni convincenti; tuttavia, la logica non sempre è sufficiente e argomentare in senso lato ha una portata più ampia di quella prettamente formale. Inoltre, la forma logica non è quasi mai l’unica ragione per cui qualcuno crede a ciò che gli viene detto, spesso la validità di un ragionamento è fondato sulla semplice accettabilità teorica argomentativa e sulla capacità persuasiva dell’interlocutore al di là del suo rigore logico.

Le più importanti condizioni perché un argomento sia logico e coerente si possono riassumere in cinque punti, per comprendere i quali è necessario premettere una distinzione tra il significato di “argomento” e quello di “argomentazione”: il primo è una forma generale di ragionamento formale o informale che prova o dimostra una certa proposizione, in quanto deve condurre ad una conclusione che sia o vera o, quanto meno, altamente probabile; mentre la seconda è un insieme di asserzioni concrete dichiarate in un contesto che possono essere false anche se poste in maniera efficace, in questi termini appare evidente come le regole per una buona argomentazione sono diverse da quelle di un buon argomento. Per esempio, una buona argomentazione deve essere persuasiva, in quanto deve convincere l’interlocutore, mentre un buon argomento deve essere vero e pertinente anche se non necessariamente persuasivo, tanto che frequentemente – nei talk show televisivi – tra un buon argomento ed una cattiva argomentazione vince la seconda solo per la sua persuasività. Ma quest’ultima è una caratteristica molto rischiosa, la persuasività, infatti, è un carattere delle argomentazioni che in sé non può essere autonoma rispetto alla fondatezza, alla validità deduttiva, alla forza induttiva ed alla complessità abduttiva. Un’argomentazione persuasiva può convincere anche se trasgredisce le leggi della logica muovendo da premesse false o irrilevanti rispetto alle tesi da rappresentare. Il carattere della persuasività è dunque quello più pericoloso e, spesso, fa passare per buoni i ragionamenti fallaci[iv].

Tornando alle condizioni perché un argomento sia logico e conduca a conclusioni vere o altamente probabili, esse sono, come si è detto, cinque:

  1. La verità delle premesse, che è la condizione più importante per la bontà di un argomento e che non è mai negoziabile;
  2. il grado di pertinenza delle premesse medesime, che è fondamentale per dare forza argomentativa ad un ragionamento. Un ragionamento che abbia delle premesse non pertinenti può anche essere vero, ma crea una dissonanza interna al ragionamento stesso, tale da far venire meno l’interesse per la verità argomentata. Di conseguenza l’argomento deve essere vero ma le premesse devono sostenerne in modo considerevole e pertinente le conclusioni.
  3. l’eventuale vulnerabilità della conclusione. Non deve essere possibile, quindi, confutarla con un altro argomento valido ma deve essere incontrovertibile.
  4. la presenza di un numero minimo indispensabile dei passi deduttivi, ogni argomentazione in più non necessaria rende l’argomento più di difficile comprensione.
  5. le connessioni strutturali tra premesse, procedimento e conclusioni. Poiché un argomento si basa su un procedimento che collega le premesse con la conclusione, è indispensabile che esso sia logico, consequenziale e coerente. Premesse mal collegate alle conclusioni rendono un argomento molto debole.

Fatte queste doverose premesse si può affermare che lo studio delle fallacie è molto interessante per tre ordini di ragioni. Una prima ragione consiste nel fatto che conoscere le fallacie di ragionamento aumenta la probabilità di evitarle; una seconda non meno importante ragione fa sì che la conoscenza delle fallacie logiche consenta di capire i motivi per cui un argomento è debole oppure no e quindi, se opportuno, non utilizzarlo o, se proposto da altri, contrapporvene un altro più forte; la terza ragione si basa sul fatto che la loro conoscenza contribuisce alla formazione del pensiero critico – argomento tanto, troppo, trascurato nell’istruzione contemporanea – capace di individuare e giudicare adeguatamente le tesi proposte quotidianamente nei molteplici aspetti della vita sociale.

Le classificazioni delle “fallacie”

Una prima classificazione delle “fallacie” si può fare in quattro grandi gruppi che si differenziano per la tipologia di errore argomentativo.

Un primo gruppo riguarda le fallacie relative alle ambiguità linguistiche, che si basano sulle confusioni che genera la lingua parlata; poi ci sono le fallacie di manipolazione della realtà, per mezzo delle quali si rappresenta la realtà in modo parziale, iperbolico, distorto o del tutto falso; Le fallacie di diversione, invece, sono quelle in cui le premesse sono irrilevanti rispetto alle conclusioni oppure quelle in cui si sposta il fulcro del discorso su questioni non pertinenti o secondarie; infine ci sono le fallacie formali quelle cioè che violano le regole della logica[i].

Cominciamo dalle più semplici, le fallacie linguistiche, dove l’errore è dovuto ad un uso improprio o impreciso del linguaggio. La trappola concettuale, in questo caso, scaturisce da un’insufficiente chiarezza terminologica che determina dei “pasticci linguistici”. Le più diffuse fallacie linguistiche sono:

  1. l’Anfibolia, che si manifesta quando la costruzione linguistica di un enunciato consente due diverse interpretazioni. Ad esempio, si immagini un articolo di un quotidiano che inizi così: Ieri mattina un pirata della strada ha travolto un ragazzo alla guida di uno scooter. Da un punto di vista grammaticale, “alla guida di uno scooter” è una locuzione avverbiale attribuibile sia al pirata della strada, sia al ragazzo. Di qui nasce l’ambiguità del significato. Questa fallacia può essere evitare isolando il termine che è ambiguo al fine di chiarirne il significato nel contesto della frase.
  2. L’Accento, che si ha quando, ponendo l’accento su un termine particolare di un enunciato, si suggerisce un’interpretazione dell’enunciato stesso diversa da quella letterale. Un esempio in una discussione può essere quello in cui si dice di un’altra persona di cui si vuol porre in evidenza la poca lucidità: “oggi nel tuo discorso mi sei sembrato sobrio”, con ciò alludendo indirettamente che di norma l’interlocutore sia ubriaco e, quindi, poco lucido, cosa che potrebbe essere vera, ma anche falsa ed avere lo scopo di screditarlo. Combattere questa fallacia può apparentemente sembrare semplice ma in effetti è piuttosto complesso in quanto insinua un dubbio il cui contrario è difficilmente dimostrabile. Occorrerebbe, infatti, mostrare che l’accento posto su quella circostanza particolare è una semplice allusione, non un’affermazione e quindi quello a cui rimanda può essere falso.
  3. Il Linguaggio pregiudizievole, che si manifesta quando alcuni termini di un enunciato sono fortemente connotati emotivamente per suggerire un giudizio di consenso o dissenso. L’esempio tipico è l’affermazione: “la mia proposta verrà sicuramente respinta dai soliti burocrati ministeriali”. In questo caso la terminologia utilizzata (i soliti burocrati) suggerisce che l’eventuale rifiuto non è dovuto alla inconsistenza della proposta ma un mero arbitrio di chi è abituato a porre ostacoli piuttosto che a risolvere problemi. In questo caso chi voglia contrastare la fallacia deve affermare che il giudizio sulla proposta non deve tener conto di quanto insinuato nella frase che ha proprio lo scopo di evitare una decisione serena ed equa.
  4. L’Espressione prevalente sul contenuto, quando l’argomento o la persona che argomenta vengono presentati in modo da orientare aprioristicamente un giudizio o una decisione. Per esempio, l’invito ad ascoltare il consiglio di una persona presentata come attendibile e competente. In questo caso lo stile utilizzato è completamente indipendente dalla conclusione che può comunque essere indifferentemente vera o falsa.

Il secondo macro gruppo è formato dalle fallacie di manipolazione della realtà, che sono più subdole e strutturalmente più complesse. Le più utilizzate sono:

  1. Le Fallacie di generalizzazione che si ottengono facendo diventare l’osservazione di un evento particolare, una regola universale. Una conferma parziale che diventa un giudizio definitivo. In altri termini si ha un ragionamento induttivo difettoso, in base al quale il concetto generale non scaturisce dalle osservazioni particolari ma si tende ad identificarlo con una singola osservazione parziale. Un esempio che mostra in tutta la sua evidenza l’errore nel ragionamento è rappresentato dal quotidiano “Libero” del 6 maggio del 2019, che titolava così: “Riscaldamento del pianeta? Ma se fa freddo.” E procedeva sottotitolando: “Neve in montagna. E a Milano minime a 5 gradi. Il termometro smentisce i gretini nostrani”. In base alla tesi del giornalista, insulto a parte, l’insolita ondata di freddo che ha caratterizzato l’inizio di maggio 2019, con qualche giorno di temperature eccezionalmente basse, è diventata un fenomeno scientifico da cui trarre la tesi che non esiste il riscaldamento globale. La fallacia dell’argomentazione è evidente, e ciò a prescindere dal fatto che si creda o meno nella teoria del riscaldamento globale, in quanto, procedendo per induzione il giornalista pretende di trarre una regola scientifica da un fatto meramente occasionale. Ma il problema in questi casi è che questo titolo è stato condiviso migliaia di volte nei social da cybernauti ingannati dal procedimento logico utilizzato, scatenando insulti e odio verso i seguaci della teoria del riscaldamento globale e, allo stesso modo, questi ultimi, sentendosi “culturalmente superiore”, hanno ritenuto di avere il diritto di insultare ed odiare chi reputa “culturalmente inferiore” per il solo fatto che non accetta la teoria.
  2. Le Fallacie di semplificazione si hanno quando si trascura la distinzione tra opposto e complemento. I termini generali del linguaggio, infatti, hanno gli opposti (es. bello – brutto, corretto – scorretto), ma anche i complementi e cioè quando con un termine generale ci si riferisce a quell’insieme di cose che non hanno la caratteristica correlata al termine generale di riferimento. Oppure quando si fa riferimento a due torti che diventano una ragione. Un esempio del primo tipo è quando si afferma: “la teoria del riscaldamento globale non è corretta…”, quest’affermazione non implica di per sé che sia scorretta, perché potrebbe riferirsi al fatto che non è corretta la forma grammaticale con cui è esposta o non è corretta se considerata nel breve periodo, ecc., pertanto il ragionamento non può essere preso come valore assoluto in quanto deve tener conto sia degli opposti che dei complementi. Un esempio del secondo tipo potrebbe essere la seguente affermazione: “è vero che ho rubato, ma lo fanno anche i politici quindi che c’è di male?”, come se il fatto che l’illecito sia compiuto da chi dovrebbe essere d’esempio sia di per sé una giustificazione.
  3. Le Fallacie di analogia, si fondano sul concetto di analogia, in base al quale un rapporto di somiglianza tra alcuni elementi costitutivi di due fatti od oggetti è tale da far dedurre mentalmente un certo grado di somiglianza tra i fatti o gli oggetti stessi. Pertanto, consiste nell’indurre la persuasione che cose simili per un attributo, lo siano per tutti gli altri, oppure quando si attacca l’interlocutore ma mediante un’analogia che ha il fine di gettare discredito sulla sua figura. In questi casi il giudizio è influenzato dall’introduzione di materiale incongruo, estraneo e non argomentato; la discussione è portata fuori strada dall’analogia abusiva, che è indimostrabile ma, paradossalmente, anche inconfutabile, dato che l’analogia tende a far sì che non vi siano apparenti alternative all’interpretazione indotta dall’analogia stessa. Alcuni esempi possono essere: l’accostare i centri di accoglienza per gli immigrati agli ebrei nei Lager nazisti per il solo fatto che i richiedenti asilo sono momentaneamente privati della libertà e perché sono soggetti a decisioni prese da altri; o quando si affermi che poiché la scienza non ammette certezze assolute, allora uno scienziato non ha una conoscenza più certa di quanto non l’abbia un analfabeta. L’analogia abusiva, dunque, tende ad ottenere l’esatto opposto rispetto a una buona analogia, in quanto, anziché introdurre un elemento di verità che migliori la comprensione dell’argomento, ottiene l’effetto migliore di persuasione nella misura in cui trova raffronti del tutto arbitrari e infondati, ma simpatici e spettacolari. Qualsiasi analogia può risultare abusiva se fonda la sua forza di persuasione sull’originalità e imprevedibilità di un argomento che obbliga a pensare un certo tema in quel modo e solo in quello.
  4. Le Fallacie causali sono in apparenza molto diverse tra loro, ma si basano tutte sul presupposto di assumere come causa di un certo evento qualcosa che o non lo è o non lo è in senso stretto. Le principali sono:
    • La Correlazione casuale (post hoc ergo propter hoc), che si basa su una locuzione latina che tradotta significa “dopo questo, e quindi a causa di questo”, è un vero e proprio sofisma per il quale si afferma l’esistenza di un rapporto di causalità tra due avvenimenti, per il solo fatto che l’uno è posteriore all’altro. Da queste fallacie di norma nascono le superstizioni o le teorie complottiste: Poiché quando nel 1630, subito dopo il passaggio di una cometa, scoppiò una pestilenza in Europa allora si deduce che tutte le comete portino disastri e sfortuna; Siccome il miliardario Bill Gates è un imprenditore nel campo dell’informatica e sta finanziando lo studio di un vaccino per il Covid-19, è evidente che ha lo scopo di controllare la popolazione mediante l’inoculazione tramite il vaccino di un microchip.
    • La Causalità semplificata è una delle procedure argomentative più frequenti e subdole, perché distorce la percezione della realtà e ne impedisce la conoscenza effettiva. Si ottiene pretendendo di individuare un’unica causa di un fenomeno che invece ha una complessa molteplicità di fattori causali. In genere lo scopo di tale argomentazione manipolativa è quello di preludere all’individuazione di un capro espiatorio del fenomeno considerato. Se ad esempio si individua nelle spese per sostenere le politiche migratorie la causa della forte pressione fiscale (mentre le cause sono ovviamente molteplici e la politica migratoria ne costituisce solo una piccolissima porzione), automaticamente si identifica negli immigrati la categoria che danneggia economicamente chi è costretto a pagare tasse elevate, il passaggio ulteriore dalla categoria all’individuo è inconsapevole e porta ad atteggiamenti di odio e violenza verso la categoria e verso le singole persone che la rappresentano ai nostri occhi.
    • Nell’Inversione causale si verifica la circostanza per cui nella spiegazione di un fatto si inverte la causa con l’effetto. L’evento viene presentato come causa di un certo effetto, in realtà non ne è la causa, o è dubbio che lo sia. Affermare ad esempio che “il prurito che ti tormenta è dovuto al fatto che continui a grattarti” rappresenta una chiarissima inversione tra causa ed effetto. Il grattarsi, infatti, non è la vera causa del prurito (che sarà il morso di un insetto o un’orticaria), bensì ne rappresenta l’effetto (dare sollievo al fastidio del prurito). In termini di comunicazione politica, l’inversione causale viene spesso utilizzata per denigrare attività della maggioranza da parte dell’opposizione o viceversa. Un esempio è l’affermazione “il proliferare della confusione nel susseguirsi dei decreti sul covid-19 ha provocato la mancata conoscenza e quindi la diffusione del virus”, che ha il palese scopo di attaccare le politiche del Governo sulla gestione della pandemia, in realtà si ha un’inversione causale in quanto è la mancata conoscenza sulle caratteristiche virali della malattia e la sua diffusione che hanno provocato una normazione caotica e spesso non idonea alla lotta contro la diffusione della pandemia. Ciò ha ovviamente uno scopo meramente esemplificativo e prescinde dal merito della questione sulla maggiore o minore efficacia dell’azione di governo.
    • L’Appello alle conseguenze negative (pendio sdrucciolevole), spesso utilizzata nelle discussioni bioetiche[ii], con cui si sottolinea che l’accettazione di determinate scelte finirà col giustificare, nel lungo periodo, altre scelte che inizialmente non si ammettevano. Si ponga l’esempio di chi sostiene che l’accettazione dell’eutanasia volontaria, quando il paziente ha avuto modo di scegliere liberamente e manifestare chiaramente la propria volontà, comporterà di sicuro in futuro l’accettazione dell’eutanasia per presunzione della volontà da parte del medico che “interpreta” il volere del malato evitandogli sofferenze; oppure: se permettiamo matrimoni tra persone dello stesso sesso, allora la prossima mossa sarà il matrimonio con bambini legittimando la pedofilia e poi con gli animali accettando la zooerastia. In tal modo si tende a mettere in guardia contro certi fenomeni che tendono, per meccanismi propri a propagarsi, producendo effetti negativi, per cui una volta che si inizia a scivolare su un pendio sdrucciolevole non è più possibile fermarsi. In realtà la catena causale evocata non è certa e si enfatizzano come sicuri gli eventuali possibili effetti negativi facendoli derivare, forzandone la causalità, da tesi iniziali certe al fine di metterne in dubbio la validità.
    • L’Explanans non controllabile, in base alle quale si dà ad un fenomeno una spiegazione causale non controllabile: “la diffusione del coronavirus è causata dalle antenne 5G che stanno montando in tutto il mondo”. In questo caso la spiegazione causale della diffusione del virus, oltre che fantasiosa, non è comunque verificabile in alcun modo e quindi ci si può credere solo per una totale mancanza di cultura critica nei confronti di ciò in cui ci si imbatte, purtroppo spesso, su Internet.
  5. Fallacie statistiche. Quando si parla di statistica occorre premettere brevemente alcune informazioni che ci chiariscano cosa è e come si interpreta una statistica; tecnicamente la statistica descrittiva si occupa di sintetizzare, attraversi indici analitici (misure di frequenza, misure medie, ecc.) e rappresentazioni tabellari e grafiche (grafici a torta, a barre, linee di tendenza ecc.), le informazioni collezionate relativamente ad un particolare fenomeno di interesse, quella inferenziale, invece, partendo da un numero limitato di osservazioni del fenomeno e impiegando gli strumenti matematici del calcolo delle probabilità persegue l’obiettivo di passare dal particolare al generale. Quando si cita una statistica a sostegno di una propria tesi è dovere di chi la cita indicarne l’autore, la fonte, la data, l’argomento preciso e l’obiettivo del documento. Ciò premesso, la caratteristica principale delle fallacie statistiche, che le accomuna tutte, è l’inferire, da pochi dati statistici o da dati non certi di cui si sconosce la provenienza, delle conclusioni a carattere assoluto che hanno lo scopo di condizionare l’opinione pubblica. A titolo di esempio si immagini qualcuno che citi una presunta statistica secondo la quale il 73,87 % degli incendi nella foresta amazzonica viene appiccato intenzionalmente. Ma da dove vengono rilevate le osservazioni utili per la formulazione della statistica? chi ne è l’autore? quali metodi d’indagine ha utilizzato? qual è il suo obbiettivo? Invero, per loro natura, la causa di un gran numero di tali incendi, considerata la vastità del territorio ed il fatto che spesso si autoestinguono senza l’intervento dell’uomo, è e rimane sconosciuta. Inoltre, anche quando la causa sia nota, ad esempio una cicca di sigaretta accesa gettata dal finestrino, è molto difficile verificare se essa sia stata gettata intenzionalmente o incautamente. Oppure si immagini la frase “In queste elezioni abbiamo ottenuto un incremento dei voti del 12%”, in questo caso l’uso distorto della statistica può portare ad affermazioni false ma apparentemente vere perché supportate, appunto, da statistiche. Invero l’incremento percentuale può essere corretto ma basato su una percentuale di votanti minima e quindi l’aumento percentuale non trova riscontro in quello numerico; oppure l’aumento può fare riferimento ad un minimo storico raggiunto molto tempo prima, infine può essere rapportato ad una tipologia di elezione completamente diversa (ad esempio amministrative di un grosso comune e quelle complessive europee).

Allo stesso gruppo appartengono le fallacie delle generalizzazioni indebite. Molti dibattiti televisivi sono caratterizzati da interlocutori dalle opposte tendenze politiche che sciorinano statistiche che dovrebbero dimostrare la loro tesi, spesso in contrapposizione con altre di segno opposto citate dagli avversari. È noto l’esempio di un noto esponente politico che, in diversi dibattiti in varie reti televisive, relativi al contrasto all’immigrazione ha citato, in una settimana, ben quattro statistiche sullo stesso argomento, una diversa dall’altra, in funzione del tipo di utenza che di norma ascolta la specifica tipologia di programma a cui partecipava. Il paradosso è che i diversi interlocutori che incontrava, a loro volta, citavano altre presunte statistiche su medesima base argomentativa volte a dimostrare il contrario, in una serie senza fine che si può definire catena dell’irrilevanza.

Il terzo macro gruppo di Fallacie sono quelle di diversione si manifestano quando si alterano la rilevanza e l’interesse di un fatto o di una notizia che, quindi, possono sembrare interessanti o utili anche quando non lo sono affatto e vengono usati appositamente per distogliere interesse da temi che sono, invece, più importanti o semplicemente pongono altri problemi, di per sé rilevanti, ma che hanno poco a che vedere con quello in discussione. In particolare, si possono distinguere, all’interno di questa categoria, tre comportamenti manipolatori tipici:

  1. Fallacia delle domande complesse, con tale espediente argomentativo si inseriscono: molte domande in una sola, in modo tale che chi deve rispondere con un sì o con un no si trova nell’impossibilità di rispondere separatamente a ciascuna domanda, che, invece, avrebbe bisogno di essere chiarita in modo da consentire risposte univoche. Ad esempio, se in un dibattito alla presenza di altri interlocutori chiedo al mio avversario di cui voglio screditare le idee: “A proposito ma alzi le mani ancora su tua moglie quando sei ubriaco?” È chiaro che a tale domanda qualunque risposta secca (sì o no) si dia, implica necessariamente il fatto che la persona è un violento ubriacone che nella vita usa o, quanto meno, usava picchiare la moglie quando era ubriaco, con la conseguenza che il mio scopo di gettare discredito sulla persona e indirettamente sulle sue tesi è raggiunto. Questo tipo di argomentazione è, ovviamente, molto usata in politica, spesso infatti si sente l’esponente di una parte politica che apostrofa l’altro, in un contesto che non c’entra nulla, dicendo “prima di parlare dell’argomento, avete già restituito i 49 milioni che avevate rubato? In questo caso è evidente che rispondere “sì” equivarrebbe ad ammettere di aver rubato i soldi e di averli poi restituiti, mentre dire “no” equivale ad ammettere semplicemente il furto.
  2. Fallacie di rilevanza, che sono accomunate dal tentativo di spostare il baricentro dell’argomentazione dal tema discusso dalle parti (o dalla tesi difesa da una delle due parti, o dalle ragioni addotte a favore o contro tale tesi) ad altri temi (o altre tesi, o ad altre ragioni) meno rilevanti. Un’ipotesi ricorrenti ed utilizzata nelle discussioni sui social e nei dibattiti televisivi è la fallacia ad hominem, che esiste in molte versioni e si ha quando una parte non critica la tesi sostenuta dall’altra, ma attacca direttamente la persona che la sostiene o alcuni aspetti della sua vita, della sua condotta, del suo pensiero che non sono rilevanti per l’argomento della discussione. Un esempio si è più volte visto in televisione quando nel controbattere ad una tesi sull’economia del paese proposta da un politico economista molto basso di statura, l’interlocutore, con aria ironica fa riferimento “all’alta statura” accademica dell’interlocutore, deviando l’attenzione dall’argomento alla caratteristica fisica. Oppure chi sostiene che l’ex presidente della repubblica non poteva essere garante della democrazia perché era comunista e non ha mai riconosciuto i misfatti dei regimi comunisti. Ancora, quando si critica una tesi per il solo fatto che chi la propone è lui stesso ad aver colpevolmente commesso l’azione o il tipo di azione che rimprovera al suo interlocutore: “i politici cattolici di destra dicono di difendere l’indissolubilità della famiglia e poi sono loro stessi divorziati. Ma quella di più ampio uso è certamente l’ignoratio elenchi, che si commette quando, anziché argomentare a sostegno di una determinata conclusione, si argomenta a favore di una conclusione solo apparentemente simile, ma in realtà ben differente e ben più facile da sostenere. A chi non è capitato infatti di ascoltare un discorso simile nel talk show politici? “Lei mi chiede come penso di risolvere il problema degli immigrati clandestini io rispondo che io sono italiano e a me preoccupano più gli italiani, che sono costretti a subire un regime fiscale che soffoca ogni possibilità di rilancio e di sviluppo. Andando in giro per le strade e i mercati, incontro tantissimi cittadini e vi garantisco che tutti, a causa del regime fiscale a cui sono sottoposti non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese. Vi sembra forse possibile immaginare un rilancio dell’economia con le tasse alle stelle?”. In questa frase vediamo oltre all’ignoratio elenchi anche l’argumentum ad populum, di cui si parla in seguito. Come si vede anziché argomentare su una tematica magari spinosa e complicata come quella relativa al problema degli immigrati clandestini, si preferisce virare verso un argomento del tutto differente, su cui è molto facile argomentare contando su argomenti piuttosto generalisti e di facile condivisione.[iii]
  3. Le fallacie di autorità, che nei mesi scorsi hanno riempito i dibattiti televisivi a proposito della diffusione del covid-19. In genere si evidenziano quando in una discussione una parte cerca di rafforzare la propria tesi facendo appello a un vero esperto ma in un campo che non è quello di cui si sta discutendo. Si è infatti visto frequentemente che alcune espressioni, spesso decontestualizzate, di medici specialisti in campi diversi dalla virologia o epidemiologia, sono state utilizzate per criticare provvedimenti del Governo, facendo appello alla notorietà scientifica del nome citato, senza però chiarire che il campo di specializzazione non ha nulla a che vedere con quello in argomento. Oppure quando si è fatto riferimento a presunte citazioni dei “padri costituenti”, per sostenere tesi su argomenti (quale la pandemia) su cui i padri costituenti non hanno ovviamente mai fatto cenno.
  4. L’Argumentum ad judicium si verifica quando si argomenta a favore o contro una tesi facendo appello a un presunto sentimento popolare o opinioni condivise piuttosto che alla ragione. Ad esempio: La gente ha paura! La stragrande maggioranza degli italiani sostengono che in Italia c’è meno sicurezza di prima, quindi ci sono buone ragioni per credere che in Italia esista e sia in aumento un problema sicurezza. Ciò sebbene le statistiche dell’ISTAT dimostrino con tutta evidenza che in Italia vi è una decrescita dei reati di tutti i tipi. Oppure il politico che accetta una bustarella che si giustifica dicendo che tutti ormai accettano il fatto che bisogna “oleare gli ingranaggi” perché il meccanismo funzioni e quindi non c’è nulla di male. La verità di un enunciato però non dipende da chi, e da quanti, lo giudicano corretto o scorretto ma da una serie di indici obiettivi (la legge, le prove scientifiche, ecc.). Un sottotipo di questa fallacia è l’argumentum ad populum, in base al quale si ritiene vera o falsa un’affermazione facendo appello al sentimento popolare: ad esempio “il popolo vuole andare subito ad elezioni. Vox populi vox dei!”
  5. Lingua emotiva e parole connotate. Una delle fallacie più efficaci consiste nel ricorso a varie forme di appello alle emozioni. Il confine tra l’uso retorico e fallace delle emozioni è però piuttosto sottile. In generale tanto più l’appello alle emozioni prende il posto della giustificazione razionale della tesi sino a diventarne la ragione principale, tanto più si potrà parlare di un uso fallace dell’argomento. L’imbroglio retorico dell’appello alle emozioni, infatti, si verifica quando la razionalità è sostituita dall’emozione e si è indotti ad aderire a una certa tesi e ad agire di conseguenza, per effetto di appelli a varie passioni. In tal modo si induce gli interlocutori a credere che il sentimento sia una guida migliore della ragione. Ad esempio, l’appello ad una presunta superiorità della propria identità etnica o di classe o nazionale può suscitare l’odio verso altre razze, etnie o semplicemente verso gli stranieri in conseguenza di una loro evocata pericolosità, in quanto attentano alla nostra identità o integrità raziale e/o etnica.

Infine, c’è il gruppo delle Fallacie Formali che sono argomenti espressi nel linguaggio naturale derivanti dall’uso di regole di inferenza invalide o valide ma applicate erroneamente. Si tratta di Fallacie argomentative più complesse, che presuppongono la perfetta padronanza delle sottigliezze linguistiche e, di conseguenza, sono più difficili da controbattere. Le principali sono:

  1. Affermazione del conseguente e negazione dell’antecedente, entrambe legate al modus ponens, per cui date due proposizioni “p” e “q”, se l’affermazione “p” implica “q” è vera, se “p” è vera allora anche “q” sarà vera, e al modus tollens, in base al quale date due proposizioni “p” e “q”, se “p” implica “q”, come nel caso precedente, e se “q” non è vera allora anche “p” non è vera. Nella prima (affermazione del conseguente) i ragionamenti del tipo “se…allora” si prestano all’inversione dell’ordine naturale di conseguenza logica. Un esempio di forma corretta di ragionamento secondo il modus ponens è il seguente: “Se c’è un decreto che sancisce il diritto degli imprenditori durante la pandemia a prestiti garantiti dallo stato, allora io che sono un imprenditore ne ho diritto”. Ma lo stesso ragionamento può essere alterato fino a farlo diventare invalido introducendo la fallacia dell’affermazione del conseguente: “Non ho ottenuto il prestito garantito dallo stato, quindi non è vero che esiste un decreto che ne ha introdotto il diritto”. Qui il salto logico è evidente in quanto potrei non aver ottenuto il prestito per vari motivi indipendenti dall’esistenza della norma, quali, ad esempio, l’aver presentato documenti falsi o errati, non rientrare tra le categorie beneficiarie, ecc. La negazione dell’antecedente, invece, consiste in un ragionamento che parte da premesse evidentemente contraddette dalla conclusione e si realizza in un’errata applicazione del modus tollens. Ad esempio, si ponga l’affermazione: “se sei di sinistra allora sei una persona colta”, applicando la negazione dell’antecedente si potrebbe affermare la seguente frase: “Tu non sei di sinistra quindi sei un ignorante!”. Mi sembra superfluo specificare quanto questo esempio sia attuale, in un contesto storico dove l’egemonia culturale della sinistra sembra aver, erroneamente, relegato la destra a mera comparsa ignorante e ingenua.
  1. Fallacia esistenziale. Per comprendere il senso di questo tipo di fallacia argomentativa è necessaria una piccola premessa filosofica: Aristotele ha immaginato che per essere un sillogismo valido deve rispettare il “il quadrato delle opposizioni”, che indica le relazioni esistenti tra i quattro diversi tipi di enunciati con cui si possono costruire i sillogismi: universale affermativo «Tutti i metalli sono conduttori di elettricità»; universale negativo «Nessun insetto è mammifero»; particolare affermativo «Qualche metallo è conduttore di elettricità» e particolare negativo «Qualche insetto non è mammifero». Secondo il filosofo, dunque, tra l’universale affermativa e la rispettiva particolare affermativa, così come tra l’universale negativa e la rispettiva particolare negativa, esiste una relazione denominata di subalternità. Due enunciati sono subalterni quando sono entrambi veri o entrambi falsi, e uno (l’enunciato particolare) descrive uno stato di cose derivabile dall’altro (l’enunciato universale). Esemplificando, tra l’enunciato universale «Tutti i triangoli sono poligoni di tre lati» e quello particolare affermativo «Qualche triangolo è un poligono di tre lati», oppure tra l’enunciato universale negativo «Nessuna sostanza che si trovi allo stato aeriforme e sia priva di volume è un solido» e quello particolare negativo «Qualche sostanza che si trovi allo stato aeriforme e sia priva di volume non è un solido» esiste questa relazione di subalternità. Per Aristotele, quindi, quando l’universale è vera, come nel caso dell’universale «Tutti i triangoli sono poligoni di tre lati», è vera anche la subalterna «Qualche triangolo è un poligono di tre lati» mentre quando l’enunciato universale è falso, come ad esempio «Nessun uomo è bipede», allora sarà falso anche l’enunciato «Qualche uomo non è bipede»[iv]. Non sempre però una proposizione particolare deriva da una universale, tale criticità può essere compresa ad esempio in relazione alle discipline scientifiche o teoriche, dove spesso si ragiona senza presupporre l’esistenza degli oggetti a cui ci si riferisce. Per semplificare si ponga la frase: «Tutte le guerre determinano danni». Tale enunciato può essere considerato vero, ma sarebbe ugualmente vero anche se, in questo momento, non vi sia in corso alcuna guerra, in questo caso si tratterebbe di un ragionamento universale ma non esistenziale. Ma, se da esso si fo scaturire la seguente affermazione: «alcune guerre determinano danni», si sosterrebbe l’esistenza reale di qualcosa che, in alcuni contesti o momenti, potrebbe non esistere. La fallacia esistenziale si inserisce in tale ragionamento, rendendolo più concreto. Invero, inferire da premesse generali “non esistenziali” conclusioni particolari “esistenziali” può diventare un errore. E la possibilità di commettere tale errore ci deve far porre l’attenzione sulla portata esistenziale degli enunciati che impieghiamo, per non trovarci a concludere l’esistenza di oggetti o entità che non esistono quando magari si ragiona solamente in modo astratto. In altri termini una premessa universale, che non asserisce l’esistenza effettiva degli individui appartenenti alla classe, non può avere una conclusione particolare, che invece aggiunge l’esistenza, senza averla ricavata dalle premesse. Nessuna inferenza è, infatti, valida se la conclusione contiene elementi che non sono contenuti nelle premesse.
  1. Fallacia delle premesse negative per cui In un sillogismo da due premesse negative non si può trarre alcuna conclusione valida. Date le due premesse: “quelli di destra non sono onesti” e “quelli di sinistra non sono democratici”, non si potrà inferire che “quindi quelli di centro non sono onesti”. Invero un ragionamento sillogistico stabilisce una relazione tra due termini con la mediazione di un terzo, perciò se le due premesse sono negative, il termine medio non può svolgere alcuna funzione mediatrice.
  2. La Fallacia delle premesse contraddittorie si ottiene quando il ragionamento sembra coerente, ma la conclusione è tratta da due premesse contraddittorie. Si immagini il seguente sillogismo: “quelli di destra sono disonesti”, “il leader della destra è una persona onesta”, “il leader della destra non è quindi di destra”. Da premesse contraddittorie, dunque, può derivare qualsiasi cosa. L’implicazione materiale è corretta e il suo valore di verità è il Vero, ma come argomentazione è fallace in quanto una qualsiasi conclusione può essere derivata, arbitrariamente, da una premessa contraddittoria e quindi falsa.

Conclusioni

In conclusione, questo scritto va considerato come un primo approccio verso lo studio del “pensiero critico”, che consenta di pensare con chiarezza, in modo razionale e, soprattutto, indipendente, e che, come si è detto in premessa, in questo periodo storico è piuttosto “latitante”. In letteratura esistono molteplici classificazioni delle Fallacie Logico-argomentative ed innumerevoli tipologie di fallacie, che spesso differiscono per minimi particolari. Nel paragrafo precedente ho tentato di raggruppare le più diffuse tipologie di fallacie in quattro macro classi, all’interno delle quali ho fatto un’ulteriore classificazione, che ritengo utile per comprendere meglio la ratio logica a cui sottostanno le argomentazioni fallaci, elencando, infine, le singole fallacie e come nascono, quali sono i fini a cui mirano e come ci si può difendere per evitare di utilizzarle (dimensione interna)  nei nostri discorsi o per trovarle e controbbaterle nei discorsi degli altri (dimensione esterna).

In definitiva possiamo trarre alcune regole utili perché il nostro approccio con le fallacie sia critico e costruttivo. Per la verifica dei ragionamenti propri ed altrui, dovremmo chiederci ad esempio:

  1. se le conclusioni ottenute rispettano lo scopo, il motivo a cui mira il ragionamento;
  2. quale dovrebbe essere la questione chiave rispetto al problema oggetto dell’argomentazione utilizzata;
  3. quali informazioni siamo sicuri che sono vere e verificabili e di quali ulteriori informazioni avremo bisogno per rendere più logico l’argomento trattato;
  4. a quali conclusioni si può logicamente giungere in relazione ai concetti utilizzati;
  5. quali sono i punti di vista diversi dal nostro ed utilizzare quindi il pensiero laterale;
  6. quali implicazioni potrebbe avere, nella discussione, la conclusione che intendiamo contrastare o raggiungere;
  7. qual è l’obiettivo finale da conseguire.

Dopo aver passato in rassegna le principali fallacie logico-argomentative e dopo esserci poste le suddette domande di rito per tentare di evitarle, occorre fare qualche considerazione di carattere generale. L’esercizio richiesto per riconoscere le più diffuse strategie comunicative, è certamente complicato, richiede notevole attenzione e presenta il rischio di staccarsi un po’ dai canoni standard della comunicazione quotidiana, finendo così per individuare delle fallacie argomentative laddove in realtà queste rappresentino solo parziali imperfezioni del ragionamento o, in altri casi, semplici considerazioni personali. La fallacia in sé non è necessariamente un ostacolo alla comunicazione. La verità o la persuasività di un ragionamento non sono infatti sempre commisurati alla sua correttezza argomentativa, anzi, spesso, un argomento corretto dal punto di vista logico può apparire (in base al contesto in cui è utilizzato) inutile o poco interessante, cioè privo di appeal.

Inoltre, abbiamo visto come le principali difficoltà derivino dal fatto che sotto il nome di fallacie sono tradizionalmente riuniti argomenti inaccettabili per due motivi diversi: quello inferenziale e cioè la mancanza di correttezza logica nel ragionamento, e quello dialettico, il fatto che sono considerate tecniche scorrette nella strategia argomentativa. La logica classica (deduttiva e induttiva) non ha mostrato di poter creare una teoria generale delle fallacie che sia esaustiva; gli standard logici impersonali, infatti, non risolvono i casi nei quali il difetto è legato alla comunicazione. Viceversa, le diverse teorie di matrice dialettica hanno tutte il problema opposto di stabilire a chi spetti, in assenza di un criterio impersonale che si fondi sulla logica deduttiva o induttiva, il giudizio ultimo sulla correttezza dell’argomentazione.

Ma ciò che più di tutto mi preme sottolineare è l’importanza della capacità di utilizzare lo “spirito critico”, che da solo ci offre gli strumenti pragmatici per individuare le Fallacie e difendersene. Ma per far ciò occorre ripensare il concetto di Istruzione, liberandolo dalla schiavitù dell’algoritmo, che inquadra tutti i fenomeni nel circolo vizioso input/output della logica informatica e computazionale (entrambe importanti ma non esaurienti), escludendo la logica classica[i]. In questo contesto assumono un’importanza fondamentale i sistemi scolastici intesi quale luogo formativo per eccellenza che devono dare forma a un saper pensare e non limitarsi a far assimilare conoscenze e regole di apprendimento e di uso dei saperi. Il sistema scolastico, infatti, influenza la società nella misura in cui riesce a creare uno spirito critico nel cittadino, che consente, nel passaggio dall’infanzia all’età adulta, passando per l’adolescenza e la giovinezza, una maggiore consapevolezza e una maggiore capacità di destreggiarsi tra le insidie della vita. La logica, dunque, andrebbe posta al centro del saper-pensare, con i suoi modelli di rigore, di spiegazione, di convalida e di dimostrazione. Da coltivare sia col pensiero scientifico-matematico – con quei principi logici che regolano il discorso e che si sono sviluppati in forma matematica, arrivando fino ad oggi, mediante l’utilizzo dei procedimenti dell’induzione e della deduzione – sia col pensiero umanistico, a partire da Aristotele, per passare da Cartesio, Galilei, fino a Frege, Dewey, Dilthey e Husserl, che hanno riconfermato la centralità della logica formale, il suo rigore e la sua complessità interna. Ma non bisogna dimenticare altre forme di pensiero che seguono procedure diverse e che restano centrali nella formazione della mente e nella vita culturale e sociale e che trovano nel pensiero creativo la loro giustificazione.

L’argomento è urgente e centrale. Va dibattuto, va sperimentato, va diffuso a tutti i livelli, specie nella formazione dei docenti e nel modello di curricolo che devono realizzare. Ciò senza nulla togliere al fatto che la società tecnologica e iperconnessa ha bisogno di competenze specialistiche; c’è però un estremo bisogno di una cultura ampia che conosca gli stili cognitivi e di una spiccata capacità di passare dialetticamente tra questi diversi registri cognitivi e logici. Solo una scuola moderna ed aperta può dunque creare menti plurali e dialettiche.

 

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Il pensiero computazionale è un processo mentale che consente di risolvere problemi di varia natura seguendo metodi e strumenti specifici, pianificando una strategia e che va molto di moda nella pedagogia contemporanea, che, spesso, lo ritiene l’unico tipo di pensiero da insegnare nelle scuole perché mira alla risoluzione di problemi concreti. La logica classica, quella aristotelica, viene considerata ormai troppo formale e lontana dai processi di ragionamento usati dall’uomo nella risoluzione dei problemi pratici.