Abbiamo ancora bisogno della burocrazia? *

In ogni gerarchia, un dipendente tende a salire fino al proprio livello di incompetenza”
(Laurence J. Peter)

Mi reco in un ufficio pubblico per estrarre copia di alcuni documenti e certificati che mi servono per istruire una richiesta. L’URP è angusto ma, dopo aver atteso pochi minuti, mi trovo davanti ad un addetto molto cortese il quale, ascoltando la mia richiesta – che, mi rendo conto, è un po’ complicata – mi chiarisce, senza nessun giro di parole o giustificazione, che non è in grado di darmi una risposta precisa e, quindi, mi invita a parlare del mio problema al capo ufficio. Quest’ultimo mi riceve subito in una stanzetta, una specie sottoscala male illuminato in barba a tutte le prescrizioni della legge 626/94 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. La prima sorpresa è però il sorriso aperto e cordiale del funzionario che, a differenza dei burocrati con cui di norma si ha a che fare nella pubblica amministrazione, si mostra attento al mio problema e con un atteggiamento collaborativo ed interessato.
Con molta calma e competenza, dopo avermi ascoltato, mi spiega che farà il possibile per reperire la documentazione di cui chiedo il rilascio di copia anche se l’archivio è al momento oggetto di digitalizzazione e potrebbe passare un po’ di tempo prima di poter trovare il fascicolo; per quanto, invece, riguarda la certificazione mi chiarisce come utilizzare l’autocertificazione e mi illustra la relativa normativa con dovizia di particolari, mostrandomi, quando necessario, la normativa e la modulistica, dandomi la disponibilità a trasferirmela su pendrive qualora lo ritenessi necessario. Si fa lasciare il mio numero di cellulare e l’email ma al contempo mi prega di ritelefonare dopo qualche giorno se non avessi ricevuto notizie, perché, a causa della spending review, non è consentito loro fare telefonate esterne. Vado via perplesso perché se da un lato la logistica dell’ufficio mi ha preoccupato per le evidenti condizioni di degrado strutturale, dall’altro ho trovato persone cortesi, interessate a risolvere il mio problema e competenti. Certo quella della digitalizzazione mi è sembrata una scusa per prendere tempo e, come succede di norma con gli uffici pubblici, per rinviare alle calende greche la risposta alla mia istanza. Quasi a contraddire questo cattivo pensiero, dopo poco più di un’ora ricevo una telefonata da un cellulare privato ed il funzionario con cui avevo parlato mi annuncia trionfante che, non essendo il fascicolo che mi interessava tra quelli in fase di digitalizzazione, poteva dar corso alla mia richiesta senza indugio (evidentemente non era una scusa ed io avevo ingiustamente pensato male). Il tutto si è risolto con pochissima attesa tra sorrisi ed auguri per una veloce soluzione del prosieguo della procedura.
Nella mia serie di articoli sulla burocrazia ho descritto una serie di elementi negativi di un sistema burocratizzato come il nostro, ma sarebbe scorretto non parlare di ciò che di buono questo può offrire quando si eroga un servizio pubblico con competenza, cortesia e con la capacità di gestire l’eventuale problema che può insorgere con i mezzi a disposizione. Tutto sommato, come indica l’esempio riportato, basta poco per operare bene e soddisfare l’utente (a differenza delle nuove tendenze che mirano, sulla scia di un’accezione aziendalistica del pubblico impiego, a chiamare “cliente” colui che fruisce dei servizi della pubblica amministrazione, io ritengo che sia più corretto continuare a chiamarli utenti, perché questo termine è più coerente al concetto di servizio pubblico che viene fruito dal cittadino; viceversa il termine “cliente” nel settore pubblico mi richiama alla mente alcuni meccanismi in uso nei rapporti politici tra il politico di riferimento ed i suoi elettori che non ho mai visto favorevolmente).
E’ un dato di fatto che la burocrazia in Italia non funziona, ma nessuno si è mai chiesto per quale motivo. Al di fuori di alcuni studi specialistici è molto difficile trovare delle analisi accurate che, lungi dal limitarsi alla stigmatizzazione della malaburocrazia, ne osservino a fondo il problema; quello di Michel Crozier, come vedremo, è un esempio di studio completo, informato e molto erudito, e, peraltro, ha consentito un rinnovamento della burocrazia francese che è tra le più moderne ed efficienti del mondo occidentale. Credo, infatti, che per combattere e risolvere ogni problema se ne debbano conoscere le cause.
Riconosco che un articolo non è il mezzo più adatto, per le sue caratteristiche intrinseche di brevità e comprensibilità, per affrontare il problema, ma ritengo ugualmente opportuno avviare una riflessione sull’argomento che stimoli osservazioni e consigli.
Diceva Max Weber, il più grande teorico della burocrazia del XX secolo, che “Il potere è la possibilità per specifici comandi di trovare obbedienza da parte di un determinato gruppo di uomini”; in quest’ottica l’autore affermava che la burocrazia rappresenta “l’apparato amministrativo tipico del potere legale”. L’attività del burocrate richiede un percorso di studi predeterminato, un concorso per l’assunzione e ulteriori prove o procedure per il passaggio ai livelli superiori e il dovere di fedeltà all’ufficio ed all’Istituzione che questo rappresenta. L’incarico svolto ha durata vitalizia e si configura come “ carriera”, è ricompensata da uno stipendio e si accompagna ad un prestigio derivante dallo status. Inoltre non comporta la proprietà o il possesso degli strumenti di lavoro.
Sempre Weber afferma che “un meccanismo burocratico pienamente sviluppato è rispetto all’organismo non burocratico nello stesso rapporto in cui si trova una macchina nei confronti dei mezzi non meccanici di produzione dei beni” ed infatti la burocrazia si caratterizza per la presunta competenza dei suoi funzionari, il cui operato è costantemente controllabile, per l’uniformità e standardizzazione delle procedure e degli atti e per la responsabilità del burocrate che dovrebbe poter essere chiamato in ogni momento a rispondere delle sue azioni.
Purtroppo l’esperienza ci insegna che non è quasi mai così: non sempre il burocrate viene assunto per concorso e quando è così spesso il concorso non è perfettamente trasparente; a volte il passaggio alla qualifica superiore avviene per ragioni diverse dal merito e non sempre coerenti con i risultati. Infine, anche la fedeltà alle istituzioni è frequentemente soppiantata dalla fedeltà al politico o sindacalista di riferimento che rappresenta il fulcro della carriera del dipendente.
Laurence J. Peter ha elaborato la teoria del livello dell’incompetenza, in base alla quale in un’azienda dotata di una struttura organizzativa gerarchica vengono promossi gli impiegati in base alla valutazione delle capacità dimostrate nello svolgere il lavoro che stanno facendo. Finché un impiegato si dimostra in grado di assolvere il suo compito, questi verrà promosso al livello immediatamente superiore. Alla fine del processo, l’impiegato avrà raggiunto il proprio livello di incompetenza, ovvero la condizione in cui non è più in grado di svolgere il compito assegnato.
Ciò malgrado, nell’elaborazione dei grandi teorici della burocrazia, il sistema amministrativo viene costantemente considerato come un insieme di procedure codificate in maniera quasi scientifica, più o meno come la matematica. Il più grande logico della storia, insieme ad Aristotele, il matematico Kurt Gödel, illustrò nel 1930 i limiti della matematica come scienza, dimostrando il concetto di fallibilità di qualsiasi sistema di controllo codificato, che, per quanto sofisticato, lascia sempre poco spazio all’intuito ed all’improvvisazione. Il grande matematico, infatti, trovò i limiti della matematica formale, ossia di quella intesa come una collezione di ferree regole dimostrative da applicare deduttivamente. Egli utilizzo il primo enunciato autoreferenziale che la storia ricordi, quello di Epimenide di Cnosso, che nel VII secolo A.C. affermò: “io sono un mentitore”. Tale asserto, ovviamente, non può risultare né vero, né falso e Gödel giocò con i simboli matematici, come Epimenide aveva fatto con le parole; sostituendo la nozione di verità con quella di dimostrabilità, giungendo mediante complessi ragionamenti logico-matematici all’assunto: “io non sono dimostrabile”.
Con riferimento al circuito chiuso dell’autoreferenzialità Gödel individuò il punto di frattura dei sistemi a logica altamente formalizzata, cioè meccanizzata; quella stessa autoreferenzialità che caratterizza la macchina della burocrazia moderna teorizzata da Weber, che, quindi, per definizione, non sarà mai perfetta. Tutt’al più perfettibile e, sicuramente, indispensabile.
La madre di tutte le battaglie è quella contro la burocrazia ha scritto su Twitter Matteo Renzi. Probabilmente il nuovo Premier, nella sua corsa alla ricerca del consenso, ha dimenticato che qualsiasi Organizzazione ha bisogno di un apparato burocratico per funzionare e lo Stato, che è l’Organizzazione per eccellenza, non è esente da questo principio. E’, quindi, facile dire che bisogna lottare “contro” qualcosa, è sicuramente più difficile, invece, comprendere il motivo per cui quella cosa non funziona e porvi rimedio.
Certamente dobbiamo lottare “per” (e non “contro”) un’amministrazione più moderna, più efficiente ed efficace, per una semplificazione delle regole, per un’attribuzione dei poteri e delle funzioni coerente ed utile; ma non “contro” un apparato senza il quale c’è solo l’arbitrio. La mancanza di una burocrazia snella e competente apre le porte a tentazioni totalitaristiche di cui si può e si deve avere paura.
L’azione della pubblica amministrazione deve fondarsi sulle regole del corretto e competitivo funzionamento del mercato, oltre che sui principi costituzionali di imparzialità e buon andamento. La pubblica amministrazione deve essere, quindi, uno dei protagonisti del mercato con il ruolo insostituibile di volano di crescita dell’economia, ma allo stesso tempo deve “controllare” e “limitare” il potere politico, tutelando il cittadino da arbìtri e prevaricazioni. Il burocrate, esso stesso cittadino, deve agire con la coscienza che anche lui domani si troverà a contatto con un altro burocrate e non può non comportarsi con l’utente come egli stesso vuole che ci si comporti con lui. In questo “circolo virtuoso” il procedimento amministrativo rappresenta il baluardo della legalità dell’azione amministrativa; in un ordinamento democratico la funzione del controllo diffuso si fonda sulla trasparenza dell’azione amministrativa che viene garantita dalla procedimentalizzazione (non complicazione) dell’attività e consente la partecipazione del cittadino. Quest’ultimo all’interno del procedimento, deve sempre poter fare valere i propri interessi legittimi e i propri diritti in maniera semplice, diretta ed immediata.
L’informatica, in questo contesto, consente di governare le informazioni tramutandole in beni giuridici, ossia in opportunità, dalle quali ricavare il massimo dell’utilità sociale e del bene comune. L’informatica è al contempo l’agevole strumento rivelatore di disfunzioni, riardi e incongruenze dell’azione amministrativa la cui conoscenza non viene affidata soltanto – e in modo autoreferenziale – alla medesima pubblica amministrazione, ma ai controinteressati, cioè ai cittadini che manifestano interessi legittimi al suo corretto e tempestivo agire.
Quella che bisogna combattere, quindi, è la burocrazia autoreferenziale che fa sì che le organizzazioni abbiano come principale attività quella di sopravvivere ed accrescersi. Ma, ciò che occorre, più che la “battaglia alla burocrazia”, è un’organizzazione dello Stato e di quella politica che non riesce ad uscire da una confusione di ruoli e di competenze che nessun Governo ha mai avuto la forza e la volontà di sconfiggere. Solo dopo che la politica smetterà di trovare colpe di altri per giustificare il proprio fallimento potremo muovere guerra all’ignorante prepotenza del burocrate sciolto da ogni valutazione e da ogni conseguenza delle sue azioni o, più spesso, delle sue omissioni.
Ma non bisogna dimenticare che il “burocrate” di medio e basso livello (funzionale) è quello che di fatto fa andare avanti l’apparato dello Stato tra difficoltà organizzative enormi, con mezzi e strumenti risibili e sempre più ridotti, grazie ad una spending review che colpisce sempre più gli uffici che erogano i servizi (per intendersi, quelli che sono a diretto contatto con le esigenze del cittadino) e sempre meno i livelli parassitari della burocrazia, fatti di grandi manager di stato che di grande hanno solo lo stipendio e la liquidazione quando vengono cacciati per aver massacrato la cosa pubblica. Tra leggi, regolamenti, circolari direttive, disposizioni ed ordini, i “piccoli burocrati” sono costretti a tirare avanti, mettendoci direttamente la faccia con cittadini giustamente sempre più agguerriti e combattivi, incitati dai discorsi “eversivi” e demagogici di quei politici che delle pastoie burocratiche fanno fonte privilegiata di gestione del potere personale. Ci sono piccoli uffici pubblici che funzionano malgrado le strutture sporche e fatiscenti che li ospitano, nonostante gli impiegati si tassino per comperare la carta per fotocopie o il toner per la stampante o aggiornano il parco informatico grazie ai propri PC personali non più utilizzati a casa, malgrado manchi la benzina per le macchine in servizio per la sicurezza dei cittadini o una connessione a banda larga che consenta di utilizzare efficacemente la telematica. Per contro gli uffici degli “alti burocrati” di Stato e dei “politicanti” di turno continuano ad essere arredati con quadri d’autore e mobili di design, spesso rinnovati ad ogni passaggio di consegne, le auto di servizio sempre nuove e di modelli estremamente raffinati (le ultime acquistate sono Maserati Audi e BMW) e senza alcun limite nelle “spese di servizio” (come le recenti inchieste sulle Regioni hanno dimostrato).
Con ciò non si può negare che esistono molti pubblici impiegati che approfittano della complessità normativa per giustificare comportamenti arroganti o, peggio, illeciti. Ma è purtroppo facile e demagogico generalizzare, in particolare quando ciò serve a mascherare l’incapacità di dare una svolta seria all’organizzazione statale nella via della vera semplificazione (non quella sbandierata delle “leggi di semplificazione” che aggiungono regole su regole e raggiungono il solo fine di creare confusione disagio ed inefficienza).
Il teorico della burocrazia, Micael Crozier, diceva che “l’uomo non è soltanto un braccio e non è soltanto un cuore. L’uomo è una mente, un progetto, una libertà”. È una frase piena di implicazioni teoriche. Per capire il funzionamento di un’organizzazione, sostiene il sociologo francese, non basta l’approccio della scuola classica che considerava i dipendenti come semplici esecutori di comandi gerarchici; e non bastano neppure le Relazioni Umane che si limitano a sottolineare la psicologia e la sensibilità delle persone. Bisogna tenere presente la mente delle persone, riconoscere che esse sono capaci di pensare, di progettare, di fare scelte non previste dall’organizzazione in cui agiscono, rendendola viva e pulsante. Il metodo di diagnosi e d’intervento a livello operativo proposto da Crozier, per agire sull’apparato burocratico, è quello dell’analisi strategica dei comportamenti burocratici al fine di modificarli, tenendo conto delle difficoltà di mutamento delle organizzazioni. Egli osserva, infatti, che l’incapacità di trasformarsi va interpretata come una prerogativa intrinseca al modo di essere della burocrazia, che è costruita in modo da non avere al suo interno nessuno strumento istituzionale per potersi correggere. Di conseguenza, le pressioni per il cambiamento sono paradossalmente destinate a provocare solo ulteriori rigidità, alimentando un circolo vizioso.
Piuttosto che combattere la burocrazia per ottenere un’amministrazione a “zero burocrazia” i politici – ed i cittadini che ne rappresentano, per certi versi, gli utenti – devono essere realistici, ma non con “il realismo ottuso del controllo di gestione, bensì un realismo che consideri le relazioni umane e la capacità di cooperazione come fatti altrettanto importanti, e a volte più importanti delle costruzioni economiche e finanziarie. Solo a questa condizione sarà possibile realizzare la rivoluzione manageriale indispensabile per sopravvivere nel mondo radicalmente diverso che si sta sviluppando”. Per il sociologo francese, quindi, la risorsa umana diventa la risorsa fondamentale, quella intorno alla quale ruotano tutte le altre. E le istituzioni devono essere pronte all’ascolto se vogliono iniziare una gestione della pubblica amministrazione adeguata al mondo post-industriale. In tale ottica, la capacità di innovare assume un ruolo primario rispetto a quella di razionalizzare. La razionalizzazione della struttura organizzativa in modelli di tipo gerarchico, acquisita a spese della capacità di risposta e di iniziativa dell’individuo e della stessa organizzazione, è, in definitiva, controproducente.
Per concludere con le parole di Crozier possiamo dire che: “gli scettici sorridono ripetendo: più le cose cambiano e più rimangono uguali. Non hanno completamente torto, poiché dietro il fervore intellettuale, continuano ad esistere le stesse pratiche. Ogni nuova formula suscita lo stesso entusiasmo e provoca le stesse difficoltà di realizzazione, le stesse fatiche, le stesse delusioni e una disponibilità alla moda successiva. Hanno però torto, poiché dietro il turbinio di questi insuccessi, il mondo reale sta cambiando profondamente”.
Cambiare non vuol dire distruggere ciò che di buono c’era prima, ma significa adeguare le strutture ai tempi in modo da renderle attuali, moderne ed adattabili alla velocità della società; in altri termini possiamo concludere, parafrasando Zygmunt Bauman, che una “società liquida” richiede necessariamente una” burocrazia liquida”.

Giuseppe Motta

Citazioni tratte da:
Crozier M., Il fenomeno burocratico, Etas Kompass Ed., 1969
Crozier M., L’impresa in ascolto. Il management nel mondo post-industriale, Il Sole 24 Ore Media & Impresa, 1990
Gödel K., Opere. Vol. 1°: 1929-1936, Bollati Boringhieri, 1999
Peter L. J. – Hull R., Il principio di Peter. Perché il vostro superiore è un incompetente? Questo libro vi dà la risposta, Calypso, 2008
Weber M., Economia e società, Donzelli, 2005

* Articolo pubblicato su www.aetnanet.org il 30/03/2014

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